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Meek's cutoff (K.Reichardt, 2010) [messaggio #128493] |
gio, 13 ottobre 2011 22:36 |
rober1 \(U-N-O\) Messaggi: 64 Registrato: febbraio 2011 |
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Davvero davvero degno di nota, consiglio vivamente il recupero.
Il formato quadrato richiama il cinema classico, forse certi vecchi
b-western di basso budget, ma l'approccio è violentemente realistico.
Potremmo quasi dire di non aver mai visto l'eterna epopea dei pionieri
tratteggiata con questa sconcertante verità e naturalezza.
I primi quadri sembrano addirittura insistere sul'anonimato
dell'attraversamento, sono a un passo dal puro "documentario", ma pian piano
il dramma prende corpo, iniziamo a conoscere i personaggi.
Una sceneggiatura parca di parole, ma abile nel caratterizzare tramite gesti
e azioni, li delineerà a dovere.
Spicca ovviamente Meek, ambiguo accompagnatore e presunto esperto dei
luoghi, e poi la giovane sposa volitiva, e ancora l'indiano silente, forse
pazzo,
dagli intenti indecifrabili.
Emerge con graduale naturalezza, dallo scarno dipanarsi degli eventi, l'idea
del conflitto tra selvaggia vaghezza degli indigeni e bisogno occidentale di
credere, teleologicamente, nella propria elezione.
"Lost", scrive sulla sella uno dei pionieri.
Lo smarrimento è ovviamente al centro del discorso.
Uno smarrimento che da fisico tende a farsi metafisico, tra campi
lunghissimi pervasi da una luce diffusamente snervante o crepuscolare, e il
graduale precipitare nell'assurdo di una tramucola retta solo
dall'elementare/profondissimo desiderio dell'acqua.
Come in certi film di M.Helmann, gli spazi aperti diventano le pareti
all'infinito di un kammerspiel on the road.
Straordinario, toccante, il realismo: caratteri che paiono estratti a nudo
dal repertorio umano d'epoca, frasi poche e dimesse, bibbie polverose a
portata di mano, attrezzature, oggetti (il fucile da ricaricarsi!), carri,
bestiame. La luce è poco trattata, saporitamente naturale, ma anche aliena
o inquietante, specie al crespuscolo, o in quelle fasi del giorno in cui nè
ombra nè sole sembrano voler prendere possesso della sfera celeste.
Dominano le inquadrature fisse, i campi lunghissimi sul nulla ad accentuare
desolazione e alienazione, una recitazione squisitamente anti-enfatica, e
poi brevi interventi musicali, dissonanti e sinistri, che addensano
inquietudine.
Come in "Wendy and Lucy" (l'unico altro suo film che conosco), la Reichardt
sembra interessata a figure umane
dignitosamente marginali, sempre a rischio di dissolvimento nell'immane
dispersione dello spazio e
della storia.
Regista promettentissima, direi (chissà se avrà altre chances, le
prospettive commerciali paiono nulle), che mi piacerebbe potesse aggiungersi
a una lista di altre notevoli directors donna, tra cui le varie bigelow, la
in
fondo sottovalutata s.coppola, l'inarrivable j.campion.
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