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Home » Musica » Classica » Vi piace Philip Glass?
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15055 è una risposta a message #15042] mer, 30 marzo 2011 13:42 Messaggio precedenteMessaggio successivo
ptram  è attualmente disconnesso ptram
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Shapiro used clothes <vittoriocol@tin.it> wrote:

> Penso che dopo una mezz'ora andrò a rifugiarmi fra le braccia di
> Stravinskij.
> O di Berio.

In Coro c'è un passaggio minimal, probabilmente in omaggio ai suoi
allievi Andriessen o Reich (bisognerebbe vedere il testo che c'è sotto,
e capire il rapporto 'etnico' tra musica e testo). Concentrati su quello
:-)

Ciao,
Paolo
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15058 è una risposta a message #15055] mer, 30 marzo 2011 14:34 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
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On 30 Mar, 13:42, pt...@despammed.com (Paolo Tramannoni) wrote:
> Shapiro used clothes <vittorio...@tin.it> wrote:
>
> > Penso che dopo una mezz'ora andr a rifugiarmi fra le braccia di
> > Stravinskij.
> > O di Berio.
>
> In Coro c' un passaggio minimal, probabilmente in omaggio ai suoi
> allievi Andriessen o Reich (bisognerebbe vedere il testo che c' sotto,


Venid a ver la sangre por las calles?

lz
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15062 è una risposta a message #15058] mer, 30 marzo 2011 14:46 Messaggio precedenteMessaggio successivo
ptram  è attualmente disconnesso ptram
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luziferszorn <pan25712@gmail.com> wrote:

> Venid a ver la sangre por las calles?

No, quella è la parte "politica"; quello a cui penso io è nella parte
"etnica". I solisti e poi il coro cantano qualcosa come "awajah awajah",
e dalla ripetizone della parola nasce un lungo passaggio basato sulla
ripetizione di un solo pattern. Ma non ho né la partitura né il disco
con me, e non riesco ad individuarlo con precsione.

Ciao,
Paolo
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15063 è una risposta a message #15002] mer, 30 marzo 2011 15:18 Messaggio precedenteMessaggio successivo
sunbather  è attualmente disconnesso sunbather
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Luca Logi ha scritto:
> Sto pensando intensamente quale sia la cosa migliore di Glass

- I quartetti per archi
- L'ultimo concerto per violino (appena uscito)
- Akenhaten
- Satyagraha
- Einstein on the Beach
- Songs for Liquid Days
- Glassworks
- ...

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15065 è una risposta a message #15062] mer, 30 marzo 2011 16:11 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
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On 30 Mar, 14:46, pt...@despammed.com (Paolo Tramannoni) wrote:
> luziferszorn <pan25...@gmail.com> wrote:
> > Venid a ver la sangre por las calles?
>
> No, quella è la parte "politica"; quello a cui penso io è nella parte
> "etnica". I solisti e poi il coro cantano qualcosa come "awajah awajah",
> e dalla ripetizone della parola nasce un lungo passaggio basato sulla
> ripetizione di un solo pattern. Ma non ho né la partitura né il disco
> con me, e non riesco ad individuarlo con precsione.
>



la partitura non ce l'ho e non sono mai riuscito a "rubarla" (appello
ai nostri naviganti dalle milletrè risorse); il disco cell'ho ma non
sono mai riuscito a capire come s'intreccia la musica e come si
sovrappongono i testi riportati nel libretto (per questo motivo la
partitura è fondamentale per capire la musica). Ad ogni modo "ad
orecchio" sono più d'uno i punti in cui s'odono echi di "stili
ripetitivi"....

lz
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15067 è una risposta a message #15008] mer, 30 marzo 2011 17:52 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Andrea Katic  è attualmente disconnesso Andrea Katic
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Shapiro used clothes scriveva il 29/03/2011 :

> va preso con le pinze). C'è il guscio esteriore di un primo tempo di
> quartetto tradizionalissimo, con tanto di introduzione lenta. In più, manca
> la rottura di dover trovare dei temi interessanti, con una loro personalità,
> e magari di scrivere una sezione di sviluppo o qualcosa di simile.


Il quartetto in questione ("Company") nasce come musica di scena per un
testo di Samuel Beckett. Credo dunque che si dovrebbe conoscere la
"dramatization" del testo di Beckett e il modo in cui la musica di
Glass la serve, per poter esprimere un giudizio più preciso sulla
forma.
Le altre tue critiche (mancanza di temi, mancanza di sviulippo
tematico) mi sembrano o ingenue o scorrette, dal momento che l'estetica
musicale nella quale Glass si è formato ha sempre *volutamente* evitato
queste cose. Per intenderci, sarebbe come lamentarsi del fatto che in
un'opera di Mondrian non ci siano pastorelle o ceste di frutta.
Utilizzare parametri estetici "occidentali" per giudicare opere che
traggono dichiaratamente la loro ispirazione da procedimenti
costruttivi tipici delle musiche di culture extraeuropee (Glass ha
lavorato con Ravi Shankar, Terry Riley si ispirava alla cultura Zen e
Reich introduce spesso elementi ritmici della musica africana) non mi
sembra molto sensato. I canoni estetici su cui si fonda questa musica
possono piacere o non piacere, e questo è perfettamente lecito. Trovo
molto meno lecito criticare in questo tipo di composizioni l'assenza di
ciò che volutamente e consapevolmente vi viene omesso. È musica che non
richiede un "ascolto strutturale" ma che «si manifesta direttamente nel
suo farsi in tempo reale» e che accoglie l'esortazione Zen «ad
accettare in beatitudine il trascorrere di tutte le cose nella loro
sfuggente mutevolezza senza ridurle agli schemi algidi della ragione»
(Andrea Lanza).
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15068 è una risposta a message #15033] mer, 30 marzo 2011 18:03 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Andrea Katic  è attualmente disconnesso Andrea Katic
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Registrato: marzo 2011
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Scriveva Shapiro used clothes mercoledì, 30/03/2011:

> Un capolavoro di Glass aspetto ancora di sentirlo.


Direi almeno "Einstein on the Beach" e "Music in Twelve Parts"...
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15073 è una risposta a message #15067] mer, 30 marzo 2011 19:36 Messaggio precedenteMessaggio successivo
ptram  è attualmente disconnesso ptram
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Andrea Katic <akatic@xxx.it> wrote:

> Trovo molto meno lecito criticare in questo tipo di composizioni l'assenza di
> ciò che volutamente e consapevolmente vi viene omesso

A meno che poi non ci siano segnali che richiamino direttamente quel
mondo che si dovrebbe omettere: la Sinfonia, il Quartetto, il Concerto -
insomma le forme più classiche della musica che si vorrebbe dimenticare.
Mi sembra che ci sia una specie di rivoluzione addomesticata.

Ciao,
Paolo
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15074 è una risposta a message #15067] mer, 30 marzo 2011 19:52 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Shapiro used clothes  è attualmente disconnesso Shapiro used clothes
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"Andrea Katic" <akatic@xxx.it> ha scritto nel messaggio
news:imvjj6$cqm$1@speranza.aioe.org...

> Il quartetto in questione ("Company") nasce come musica di scena per un
> testo di Samuel Beckett. Credo dunque che si dovrebbe conoscere la
> "dramatization" del testo di Beckett e il modo in cui la musica di Glass
> la serve, per poter esprimere un giudizio più preciso sulla forma.

Strano, ho sempre pensato che la musica fosse un linguaggio
autosufficiente; esistono decine di pezzi pensati per accompagnare una
rappresentazione drammatica, nel Novecento e non solo. Una buona parte di
questi ha una sua costruzione, una propria coerenza linguistica e
stilistica, indipendente da quel che accade sulla scena. Il che,
francamente, non stupisce. Anche una musica di scena è qualcosa di diverso e
più complesso di un puro e semplice mimetismo.
E' poi singolare che sia chi ha postato il link che chi ha messo in rete il
pezzo sembrano nutrire la convinzione che di questo riferimento è possibile
fare a meno, visto che non ne ho trovato traccia. Il discorso salta fuori
adesso, con te.
Infine, un certo disegno formale di massima nel pezzo si distingue, anche ad
un primo superficiale, dilettantesco ascolto. Ed è quel tipo di indicazione
macroscopisca (differenza di timbro, di densità, di tempo, di accordo) che
serve a orientare l'ascoltatore, in definitiva a rassicurarlo. Il contrario
di quel che accade con i pezzi che ho postato come replica, in cui la
strutturazione formale è saldamente collegata alle microstrutture del testo
e non calata dall'alto (o dall'esterno, se si preferisce altra metafora).

> Le altre tue critiche (mancanza di temi, mancanza di sviulippo tematico)
> mi sembrano o ingenue o scorrette, dal momento che l'estetica musicale
> nella quale Glass si è formato ha sempre *volutamente* evitato queste
> cose. Per intenderci, sarebbe come lamentarsi del fatto che in un'opera di
> Mondrian non ci siano pastorelle o ceste di frutta.

Vorrei capire *dove* ho fatto qualcosa del genere.
Che mi venisse indicato partitamente.
Io sarò ingenuo o scorretto, qualcun altro legge con una certa furia, e
finisce per proiettare la propria persuasione su quel che effettivamente è
stato detto. Succede.

> Utilizzare parametri estetici "occidentali" per giudicare opere che
> traggono dichiaratamente la loro ispirazione da procedimenti costruttivi
> tipici delle musiche di culture extraeuropee (Glass ha lavorato con Ravi
> Shankar, Terry Riley si ispirava alla cultura Zen e Reich introduce spesso
> elementi ritmici della musica africana) non mi sembra molto sensato.

E' un discorso che ho sentito molte volte, da quando avevo suppergiù
quattordici o quindici anni (molto tempo fa, purtroppo) e non mi ha mai
convinto, neppure un po'.
I "procedimenti costruttivi tipici delle musiche di culture extraeuropee"
sono ben poca cosa, se si continuano a impiegare un temperamento e una
modalità che sono quelli, pari pari, della tradizione occidentale. Non mi
avventuro neppure a parlare di armonia. Basta già la sconfortante banalità
della dimensione orizzontale, che per i cultori del genere sembra avere la
massima importanza.
Quanto a Ravi Shankar, per quel che lo conosco mi sembra proprio un esempio
di disinvolta mescolanza di stili e linguaggi assai differenti, con
risultati che definire di ricerca è piuttosto azzardato.
Non sono certo questi gli unici compositori occidentali che abbiano studiato
organicamente o meno stili di altre culture, e si siano posti il problema di
inserirli nella nostra tradizione compositiva. Mi risulta che anche Ligeti
abbia studiato il valore costruttivo del ritmo nella musica africana e
orientale, e non solo. La differenza dei risultati è palpabile.

>I canoni estetici su cui si fonda questa musica possono piacere o non
>piacere, e questo è perfettamente lecito.

Meno male, troppa grazia.

>Trovo molto meno lecito criticare in questo tipo di composizioni l'assenza
>di ciò che volutamente e consapevolmente vi viene omesso.

Cosa che io non ho fatto.
Se pensi che l'abbia fatto, fammi vedere dove; ho l'impressione che tu non
tenga conto che la mia è una replica, e va presa in considerazione di
conseguenza.
Indipendentemente dalle pretese di Glass, nella sua musica sento ripetizioni
variate (non sempre, e non con molta fantasia; per trovare variazioni
ritmiche assai più avvicenti e "di rottura" non serve neppure ascoltare il
Ligeti che citavo sopra; basta considerare con occhio attento più o meno
tutta la produzione stravinskiana) di moduli linguistici assolutamente
occidentali; una quinta giusta o una terza maggiore restano quello che sono,
non basta ripeterle a oltranza perché suonino come qualcosa di inaudito,
anzi; lo stesso vale quando si pongono come "spazio" entro cui si organizza
il modulo (credo che parlare di frase sia fuorviante). Certo, si può
chiedere all'ascoltatore di dimenticare cosa hanno rappresentato nella
nostra tradizione, l'eredità di cui sono gravate.
E' un po' come chiedere un salto nella fede; è così perché lo vogliamo. C'è
poco da invocare ragioni obbiettive.

Sulla base della ripetizione dei moduli Glass allestisce una scansione
dell'opera in episodi dotati di un certo fascino timbrico e sonoro, per i
quali non sarà offensiva (nei fatti non lo è; sui tappeti, quelli veri,
hanno scritto Warburg e Panofsky) la trita definizione di "tappeto" sonoro.
Il cambio di episodio, che spesso consiste in una diversa distribuzione
ritmica e polifonica (a proposito; mai eterofonica) di un materiale che
resta lo stesso o cambia mantenendosi abbastanza semplice e tradizionale (a
differenza di quanto accade in Reich, mi pare, almeno nel Reich più maturo)
è anche un segnale strutturale di forte visibilità; non può non venir notato
da chicchessia. Ed è imprevedibile, ogni "regione" potrebbe durare il doppio
o la metà, praticamente non esiste una ragione intrinseca perché la musica
si organizzi, "proceda" proprio così. Indirettamente me l'hai confermato,
con la tua prima osservazione, quella in cui sostieni che bisogna conoscere
il testo teatrale. Come dire: la ragione della macroscansione è esterna, non
linguistica, non testuale.
Sicuramente presentandosi come musica di scena, come parte di uno spettacolo
o allestimento questa musica è più efficace e suggestiva. Stesso discorso
quando si presenta come commento alle immagini.
Vorrei sapere cosa c'è di sostanzialmente differente rispetto alla musica a
programma dell'Ottocento, o, sul versante opposto, al perdersi e nascondersi
nel gioco di un arabesco; e in che modo il richiamo alle tradizione
extraeuropee sia qualcosa di più e di diverso dall'esotismo imperante nel
medesimo secolo, su cui Mario Praz ha scritto pagine memorabili che forse ci
aiutano anche oggi (non c'è bisogno che te le ricordi, di sicuro. Com'è
noto, l'esotismo interessa varie discipline artistiche, è un fenomeno
comune, e a quanto pare storicamente ricorrente; dice assai più sulla
cultura di provenienza che su quelle che vorrebbe accostare e fare oggetto
di ibridazione).

>È musica che non richiede un "ascolto strutturale" ma che «si manifesta
>direttamente nel suo farsi in tempo reale»

Questa frase devo prenderla sul serio, o è una boutade?
I casi, a mio avviso, sono due.
Se devo prendere l'espressione "manifestarsi direttamente nel suo farsi in
tempo reale" sul serio, allora è una descrizione valida per qualsiasi musica
che funzioni. Lo si può dire di Bach, di Mozart, di Stravinskij. Anche
questa è una posizione di principio, assolutamente lecita anche se non per
forza condivisibile. E' un po' come dire che la testualità della musica
trascende, in modi differenti, sia la notazione che l'esecuzione.
Sottolinerei l'espressione "tempo reale" che, viste le premesse, da parte
tua (vostra?) suona un po' singolare.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con un ascolto a-strutturale. Anzi.
Se devo prenderla in senso mistico, in questo contesto diventa una presa in
giro.
Anche fissare un muro può essere un porta d'accesso a chissà quale paradiso
contemplativo.
Ma non dipende dal muro; dipende dallo sguardo.
L'illuminazione posso averla anche ascoltando Cage. O Mozart. O un grillo
che canta in un prato. Non è determinante il cosa. E' determinante il come
ascolto; di sicuro, l'illuminazione non c'è finché li distinguo (Cage,
Mozart, il grillo, il silenzio). Il come, in questo caso, lo decide il
soggetto che deve liberarsi di sé. Certo, una volta che ci siamo lasciati
alle spalle la soggettività in questa accezione, non esiste più l'idea
tradizionale di linguaggio, quella (credo) che tu chiami la struttura. Ma
non esiste più perché ci siamo messi nella condizione di non vederla, come
un miope che si tolga gli occhiali. Non è la musica ad averla vanificata.
Tutto quel frenetico darsi da fare non vanifica, di per sé, proprio nulla;
né una percezione del tempo (una piccola spia; è significativo il bisogno di
scandire, ricondurre a una sola misura per tutti gli esecutori, di indicare
il numero delle ripetizioni; già Satie arrivava a ben altra consapevolezza,
per non parlare, su altro versante, dello Stockhausen di Zeitmasse o di
Cage) né tanto meno la soggettività come viene pensata (veniva) in
Occidente.
Semplicemente, ci si prende una vacanza in cui i momenti noiosi vengono
giustificati con un po' di arredo orientale misticheggiante. Non siamo di
fronte a qualcosa di molto differente dalla musica da ascensori.

>e che accoglie l'esortazione Zen «ad accettare in beatitudine il
>trascorrere di tutte le cose nella loro sfuggente mutevolezza senza ridurle
>agli schemi algidi della ragione»

Lo Zen è una forma di cultura religiosa, ed è una cosa seria.
Non merita di essere banalizzato in questo modo indecente.


dR
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15075 è una risposta a message #15055] mer, 30 marzo 2011 19:54 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"Paolo Tramannoni" <ptram@despammed.com> ha scritto nel messaggio
news:1jyxp7f.1vqn17t1re52vuN%ptram@despammed.com...

> In Coro c'è un passaggio minimal, probabilmente in omaggio ai suoi
> allievi Andriessen o Reich (bisognerebbe vedere il testo che c'è sotto,
> e capire il rapporto 'etnico' tra musica e testo). Concentrati su quello
> :-)

Proverò.
Reich mi sembra già meglio, però.

dR :-)
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15077 è una risposta a message #15074] mer, 30 marzo 2011 20:49 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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On 30 Mar, 19:52, "Shapiro used clothes" <vittorio...@tin.it> wrote:

> Semplicemente, ci si prende una vacanza in cui i momenti noiosi vengono
> giustificati con un po' di arredo orientale misticheggiante. Non siamo di
> fronte a qualcosa di molto differente dalla musica da ascensori.
>


C'è dell'ottima musica per ascensori: gran parte del Mozart sinfonico
ad esempio. Sicuramente molto più funzionale di un brano di Glass, la
cui essenza non può essere afferrata ascoltando distrattamente
brandellini da 3 minuti.

lz
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15078 è una risposta a message #15075] mer, 30 marzo 2011 21:00 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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Shapiro used clothes <vittoriocol@tin.it> wrote:

> Reich mi sembra già meglio, però.

A Berio nemmeno lui andava a genio (almeno quando rilasciò l'intervista
a Rossana Dalmonte). Ma direi che ci vuole poco a mostrare le differenze
tra l'artigianato prezioso di Reich* e la faciloneria di Glass.

Ciao,
Paolo

* Anche Reich, però, da qualche anno a questa parte è diventato un po'
ripetitivo... ehm... (nel senso che ripete se stesso e la sua formula
magica)
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15079 è una risposta a message #15074] mer, 30 marzo 2011 21:09 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Andrea Katic  è attualmente disconnesso Andrea Katic
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Shapiro used clothes scriveva il 30/03/2011 :

> Strano, ho sempre pensato che la musica fosse un linguaggio
> autosufficiente; esistono decine di pezzi pensati per accompagnare una
> rappresentazione drammatica, nel Novecento e non solo. Una buona parte di
> questi ha una sua costruzione, una propria coerenza linguistica e stilistica,
> indipendente da quel che accade sulla scena.


Non parlavo né di "linguaggio" né di "stile", parlavo (quotando una tua
frase) di forma. Può darsi (ma ripeto, non conoscendo il testo di
Beckett non posso saperlo) che l'esigenza di avere un «primo tempo di
quartetto tradizionalissimo, con tanto di introduzione lenta» (cito
ancora una volta le tue parole) siano dovute a un'esigenza
drammaturgica particolare. Ripeto: non lo so, per cui preferisco
evitare alcun commento sulla forma di *questo* brano in particolare.
O meglio: commenti e analisi se ne possono fare benissimo, ma sull'
*intenzione compositiva* che ha ispirato questo brano, senza un
commento diretto dell'autore, non possiamo che fare supposizioni.
Su *altre* composizioni di Glass non nate da esigenze drammaturgiche,
riconosco che l'osservazione di Paolo Tramannoni è sensata. Ma (e qui
rispondo anche a lui) la critica del minimalismo alla tradizione
musicale occidentale non credo abbia mai riguardato la forma, quanto,
semmai, il tematismo e lo sviluppo tematico.


>> Le altre tue critiche (mancanza di temi, mancanza di sviulippo tematico) mi
>> sembrano o ingenue o scorrette, dal momento che l'estetica musicale nella
>> quale Glass si è formato ha sempre *volutamente* evitato queste cose. Per
>> intenderci, sarebbe come lamentarsi del fatto che in un'opera di Mondrian
>> non ci siano pastorelle o ceste di frutta.
>
> Vorrei capire *dove* ho fatto qualcosa del genere. Che mi venisse indicato
> partitamente.


Il bello è che l'ho pure quotata, la frase in cui scrivevi che nel
brano di Glass proposto «manca la rottura di dover trovare dei temi
interessanti, con una loro personalità, e magari di scrivere una
sezione di sviluppo o qualcosa di simile». Parole tue, credo, a meno
che non ci siano su questo gruppo due persone che si firmano "Shapiro
used clothes".


> Io sarò ingenuo o scorretto, qualcun altro legge con una certa furia, e
> finisce per proiettare la propria persuasione su quel che effettivamente è
> stato detto. Succede.


Ecco, appunto.

>
>> Utilizzare parametri estetici "occidentali" per giudicare opere che
>> traggono dichiaratamente la loro ispirazione da procedimenti costruttivi
>> tipici delle musiche di culture extraeuropee (Glass ha lavorato con Ravi
>> Shankar, Terry Riley si ispirava alla cultura Zen e Reich introduce spesso
>> elementi ritmici della musica africana) non mi sembra molto sensato.
>
> E' un discorso che ho sentito molte volte, da quando avevo suppergiù
> quattordici o quindici anni (molto tempo fa, purtroppo) e non mi ha mai
> convinto, neppure un po'.


Amen. Non pretendo di convincerti io, su queste cose, che sono un
signor nessun. Enzo Restagno, Stefano Leoni e Andrea Lanza ne hanno
scritto diffusamente: ti rimando ai loro scritti, nonché a quelli degli
stessi Glass e Reich.


> I "procedimenti costruttivi tipici delle musiche di culture extraeuropee"
> sono ben poca cosa, se si continuano a impiegare un temperamento e una
> modalità che sono quelli, pari pari, della tradizione occidentale. Non mi
> avventuro neppure a parlare di armonia. Basta già la sconfortante banalità
> della dimensione orizzontale, che per i cultori del genere sembra avere la
> massima importanza.


Forse perché i "cultori del genere" evitano di applicare a questo tipo
di musiche gli stessi canoni estetici che userebbero per valutare una
sinfonia di Brahms. La "sconfortante banalità della dimensione
orizzontale" è un limite per te, ma diventa un pregio per altri.

(A scanso di equivoci: non sono precisamente un "cultore del genere":
mi piace Reich (ho anche suonato un suo brano), mi piacciono alcune
cose di Glass (soprattutto quelle degli esordi; altre più recenti le ho
digerite a fatica) e di Riley, ma dubito che reggerei l'ascolto di un
concerto basato interamente su loro musiche).


> Sulla base della ripetizione dei moduli Glass allestisce una scansione
> dell'opera in episodi dotati di un certo fascino timbrico e sonoro, per i
> quali non sarà offensiva (nei fatti non lo è; sui tappeti, quelli veri, hanno
> scritto Warburg e Panofsky) la trita definizione di "tappeto" sonoro. Il
> cambio di episodio, che spesso consiste in una diversa distribuzione ritmica
> e polifonica (a proposito; mai eterofonica) di un materiale che resta lo
> stesso o cambia mantenendosi abbastanza semplice e tradizionale (a differenza
> di quanto accade in Reich, mi pare, almeno nel Reich più maturo)


Questo è vero, se non altro perché nella musica di Reich (o forse,
meglio: nella *gran parte* della musica di Reich) la cellula di
partenza è fondamentalmente ritmica, mentre in Glass (così come in
Riley) è soprattutto intervallare (Leoni la definisce addirittura
"melodica", ma mi sembra un po' esagerato; forse è più adatta per le
opere del Glass più maturo) o armonica.


> è anche un
> segnale strutturale di forte visibilità; non può non venir notato da
> chicchessia. Ed è imprevedibile, ogni "regione" potrebbe durare il doppio o
> la metà, praticamente non esiste una ragione intrinseca perché la musica si
> organizzi, "proceda" proprio così.


La motivazione c'è. Ne parla ad esempio Reich nel suo "Musica come
processo graduale" a cui ti rimando. Comunque, riassumendo e
banalizzando moltissimo: le mutazioni devono essere percettivamente
comprensibili ed estremamente graduali. Mutazioni troppo rapide o
troppo lente esonderebbero da quelli che sono i limiti cognitivi del
cervello umano.


>>È musica che non richiede un "ascolto strutturale" ma che «si manifesta
>> direttamente nel suo farsi in tempo reale»
>
> Questa frase devo prenderla sul serio, o è una boutade?


Chiedilo ad Andrea Lanza, è sua. L'avevo pure messa tra virgolette per
farlo capire meglio.


> I casi, a mio avviso, sono due.
> Se devo prendere l'espressione "manifestarsi direttamente nel suo farsi in
> tempo reale" sul serio, allora è una descrizione valida per qualsiasi musica
> che funzioni.


La frase di Lanza era riferita all'estetica del minimalismo, e in tale
senso va interpretata. In altre parole: il minimalismo nasce da
posizioni antitetiche rispetto a quelle della logica musicale
tradizionale europea (Lanza scrive «dell'avanguardia», io estenederei
il discorso anche all'Ottocento). Logica musicale che vuole che,
durante l'ascolto di un brano, si debbano ricercare nessi strutturali e
tematici tramite la concentrazione e la memoria. Il minimalismo vive
invece sul "qui e ora", ovvero sul suo «farsi in tempo reale».


> Tutto ciò non ha nulla a che fare con un ascolto a-strutturale. Anzi.
> Se devo prenderla in senso mistico, in questo contesto diventa una presa in
> giro.
> Anche fissare un muro può essere un porta d'accesso a chissà quale paradiso
> contemplativo.
> Ma non dipende dal muro; dipende dallo sguardo.


Infatti. E qui entra in gioco lo Zen. Mai sentito parlare di Cage?


> L'illuminazione posso averla anche ascoltando Cage.


Sì, ne hai sentito parlare.


> Non siamo di fronte a qualcosa di molto differente dalla musica da ascensori.


Non so che ascensori prendi tu. In quelli che conosco io di solito c'è
Vivaldi. Non credo che mettere in ascensore "Music in Twelve Parts"
(quattro ore e passa di musica) sarebbe considerato di buon auspicio.


>>e che accoglie l'esortazione Zen «ad accettare in beatitudine il trascorrere
>> di tutte le cose nella loro sfuggente mutevolezza senza ridurle agli schemi
>> algidi della ragione»
>
> Lo Zen è una forma di cultura religiosa, ed è una cosa seria.
> Non merita di essere banalizzato in questo modo indecente.


Va bene, martedì riferirò a Lanza, a Leoni e a Restagno che sono dei
«banalizzatori indecenti». Immagino che provederanno a ritirare
immediatamente dal mercato le loro pubblicazioni per apportarvi tutte
le correzioni che vorrai gentilmente suggerirgli.
;-)
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15081 è una risposta a message #15079] mer, 30 marzo 2011 22:54 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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Andrea Katic <akatic@xxx.it> wrote:

> Non parlavo né di "linguaggio" né di "stile", parlavo (quotando una tua
> frase) di forma.

Personalmente non riesco a vedere la "forma" come qualcosa di estraneo
al "linguaggio" o allo "stile". Come definire un linguaggio senza
affrontare anche questioni formali? Come si struttura? Che legami ci
sono tra il micro- e il macro-strutturale?

Non a caso, il lavoro di Wilson su Einstein on the Beach (ma anche su
tanti altri suoi lavori) è innanzitutto formale (strutturale): l'idea
generativa è quella di una durata. La forza strutturante di Wilson è
chiara nella musica di Glass, costruita per numeri come il Wozzeck.

Quella di Glass per Einstein diventa una musica (genialmente) ancillare.
Tolta la forza di Wilson, Glass perde spina dorsale. Non è un caso che
alla recente serie di convegni monografici su Wilson tenutasi a Parigi,
della musica non si parlasse (o si parlasse marginalmente, tanto da non
balzarmi agli occhi subito).

Wilson adora il kitsch. Di recente ha addirittura collaborato con
Roberto Bolle. Ma non proseguo, altrimenti mi rovino anche una delle
poche cose di Glass che apprezzo (per ragioni più storiche che
estetiche...) :-)

> Questo è vero, se non altro perché nella musica di Reich (o forse,
> meglio: nella *gran parte* della musica di Reich) la cellula di
> partenza è fondamentalmente ritmica, mentre in Glass (così come in
> Riley) è soprattutto intervallare ...

Generalizzazione un po' estrema. Ma lo ammetti anche tu. In breve: non
riesco ad immaginare Piano Phase, con il suo fantastico intreccio di
tasti bianchi e tasti neri, come una creazione esclusivamente ritmica.

> >>È musica che non richiede un "ascolto strutturale" ma che «si manifesta
> >> direttamente nel suo farsi in tempo reale»
> > Questa frase devo prenderla sul serio, o è una boutade?
> Chiedilo ad Andrea Lanza, è sua. L'avevo pure messa tra virgolette per
> farlo capire meglio.

Ti ricordi in che libro si trova questa frase? L'"ascolto strutturale"
immagino sia il concetto di Adorno, che usa questa definizione per
l'ascolto cosciente, non soggettivo, non massificato. Per quel che
conosco dei testi di Lanza, con la loro asciuttezza e precisione, mi
sembra strano che adoperi la definizione adorniana come termine
negativo, e mi piacerebbe capire se a legare i due frammenti riportati
ci sia qualcos'altro.

Tra l'altro, ma lo saprai già, ti segnalo il capitolo sull'influenza
dello Zen ne "Il secondo novecento" di Lanza. Mi sembra di notare che vi
si parli estesamente di Cage, Stockhausen, Riley, Reich, LaMonte Young
(cioè gli autori in cui il fattore filosofico-religioso è stato
effettivamente importante), ma non vi trovo traccia di Glass! :-)

> Va bene, martedì riferirò a Lanza, a Leoni e a Restagno che sono dei
> «banalizzatori indecenti». Immagino che provederanno a ritirare
> immediatamente dal mercato le loro pubblicazioni per apportarvi tutte
> le correzioni che vorrai gentilmente suggerirgli.

Ho l'impressione che leggiamo i loro scritti in maniera diversa. Poiché
ho una discreta consuetudine con i testi di questi autori, devo
ammettere che sono sorpreso di leggere le particolari deduzioni che ne
ricavi. Dunque, ne traggo un invito a tornarci sopra.

Ciao,
Paolo
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15082 è una risposta a message #15079] mer, 30 marzo 2011 23:06 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"Andrea Katic" <akatic@xxx.it> ha scritto nel messaggio
news:imvv55$c6h$1@speranza.aioe.org...

> Non parlavo né di "linguaggio" né di "stile", parlavo (quotando una tua
> frase) di forma.

Che non ha nulla a che fare con il linguaggio e lo stile? La forma, intendo.
Bene.
A parlare con la gente del mestiere, o che dovrebbe essere tale, si fanno
sempre scoperte interessanti.

>Può darsi (ma ripeto, non conoscendo il testo di Beckett non posso saperlo)
>che l'esigenza di avere un «primo tempo di quartetto tradizionalissimo, con
>tanto di introduzione lenta» (cito ancora una volta le tue parole) siano
>dovute a un'esigenza drammaturgica particolare.

Quindi il guscio formale c'è, a ben vedere. Virgoletti le mie parole, ma non
mi dai ragione per credere che sia una citazione polemica. Di fatto non la
smentisci.
Eravamo rimasti che il guscio non c'era, perché io cercavo artatamente quel
che non doveva esserci; almeno così mi pareva.

>Ripeto: non lo so, per cui preferisco evitare alcun commento sulla forma di
>*questo* brano in particolare.

Questa interessante considerazione andava fatta prima. Prima di accusare di
superficialità altri che semplicemente hanno descritto, male o bene che sia,
quel che hanno sentito.

> O meglio: commenti e analisi se ne possono fare benissimo, ma sull'
> *intenzione compositiva* che ha ispirato questo brano, senza un commento
> diretto dell'autore, non possiamo che fare supposizioni.

Guarda che l'intenzione, o qualcosa di molto vicino, l'hai tirata in ballo
tu. A me dell'intenzione a monte del testo non potrebbe importare di meno.
Io ho semplicemente fatto notare che c'è molta musica di scena che,
semplicemente, sta in piedi da sola; ha una sua logica formale e
linguistica, pur dovendo accompagnarsi a qualcosa che accade sulla scena.
Se sai cosa succede, meglio; ma se anche non lo sai, la musica ha un suo
perché.
Questa (musica, di Glass) il perché lo simula soltanto, a parer mio.
E lo simula in questo modo perché punta diritta e implacabile su un
ascoltatore occidentale che più occidentale non si può.
Anzi, un ascoltatore (culturalmente) consumista.
Quando ho voglia di cose simili preferisco Saint Saens, che vuoi. Che fra
l'altro è molto più ironico. E ha un tantino di mestiere in più (iperbole).


> Su *altre* composizioni di Glass non nate da esigenze drammaturgiche,
> riconosco che l'osservazione di Paolo Tramannoni è sensata. Ma (e qui
> rispondo anche a lui) la critica del minimalismo alla tradizione musicale
> occidentale non credo abbia mai riguardato la forma, quanto, semmai, il
> tematismo e lo sviluppo tematico.

Bene.
Le tue giravolte sono molto interessanti.
Resta da vedere quanto, nella tradizione occidentale, la forma del concerto
o della sonata siano separati da una certa idea di tematismo e di sviluppo
tematico o motivico.
E resta anche da vedere cosa sia una critica, effettivamente.
Perché la parola (il concetto) ha una sua storia, e non può essere impiegato
a vanvera.
Per il momento mi limito a ricordarti che nel post precedente tutto ciò
*non* era una critica: era la manifestazione di una logica radicalmente
*altra*, come si soleva dire nei salotti e salottini à la page, e in quanto
tale irriducibile alle logore categorie della ragione. Fra le quali, la
dimensione lineare del tempo.

> Il bello è che l'ho pure quotata

Sì.
E continui a non capirla.
Oh, mi spiegherò male io.
Intanto non posso che rilevare le tue giravolte, perché tutto quello che
prima non c'era, nella musica di Glass, adesso c'è. La mia osservazione
sulla forma ridotta a "guscio" (paragone prosaico, ma giusto per capirsi
senza scrivere tomi) prima era inconsistente, perché questa musica avrebbe
tutt'altra organizzazione; adesso questo carattere è presente, ma è una
"critica".
Attendo con ansia la prossima versione.

> Amen. Non pretendo di convincerti io, su queste cose, che sono un signor
> nessun. Enzo Restagno, Stefano Leoni e Andrea Lanza ne hanno scritto
> diffusamente: ti rimando ai loro scritti, nonché a quelli degli stessi
> Glass e Reich.

Chi ti dice che non li conosca, almeno quelli di Restagno? Del quale ho la
massima stima, il che non significa concordare al mille per cento con ogni
cosa che ha scritto. E che peraltro non riporti, né citi.

> Forse perché i "cultori del genere" evitano di applicare a questo tipo di
> musiche gli stessi canoni estetici che userebbero per valutare una
> sinfonia di Brahms. La "sconfortante banalità della dimensione
> orizzontale" è un limite per te, ma diventa un pregio per altri.

Allora, questa logica formale c'è o non c'è? Nel quartetto e in altre cose?
C'è una scansione in, diciamo così, regioni che dà all'ascoltatore il senso
sommario di una (macro) organizzazione formale?
Ammiro questa capacità di cambiare idea nello stesso post, davvero.
Quanto al gusto per la dimensione orizzontale, beh, è lecito.
Mi pare di ricordare che la musica è armonia o non è affatto (nota per i
lettori; non è detto sia armonia tonale, ovviamente), e questo l'hanno detto
e presupposto una quantità di signori del mestiere.

> (A scanso di equivoci: non sono precisamente un "cultore del genere": mi
> piace Reich (ho anche suonato un suo brano), mi piacciono alcune cose di
> Glass (soprattutto quelle degli esordi; altre più recenti le ho digerite a
> fatica) e di Riley, ma dubito che reggerei l'ascolto di un concerto basato
> interamente su loro musiche).

E allora perché te la pigli tanto?

> La motivazione c'è. Ne parla ad esempio Reich nel suo "Musica come
> processo graduale" a cui ti rimando.

Che, scusa la presunzione, non mi è nuovissimo.

>Comunque, riassumendo e banalizzando moltissimo: le mutazioni devono essere
>percettivamente comprensibili ed estremamente graduali. Mutazioni troppo
>rapide o troppo lente esonderebbero da quelli che sono i limiti cognitivi
>del cervello umano.

Fin qui ci si arriva ascoltando con un minimo di attenzione la sua musica.
Comunque, riassumendo allo spasimo, ricordo anch'io più o meno questo.
Ricordo anche una critica esplicita alla dodecafonia, che comporterebbe
processi che un ascoltatore normale non può seguire.
Ora, proprio su questo ci sarebbe da aprire un'interessante (per me)
parentesi. Perché a Schoenberg non interessava che l'ascoltatore
individuasse e seguisse consapevolmente le permutazioni della serie, anzi.
Se ricordo bene, a Schoenberg garbava che l'atteggiamento dell'ascoltatore
fosse esattamente quello che adotta chi si aspetta una Sinfonia di Brahms.
Altrimenti tutto il processo che lui mette in moto, così ben descritto da
tanti esegeti fra cui l'ingiustamente vituperato Adorno, proprio non
sortisce gli effetti sperati. Lui voleva un ascoltatore che cercasse e
identificasse motivi e sviluppi. Va da sé che l'originalità dell'armonia
rende il compito molto più difficile e produttivo. Il che dice qualcosa sui
rapporti fra forma e parametri linguistici, sulla loro dialettica. Dice
ancora di più sul modo in cui sono individuabili le sezioni del testo,
(modo) tutt'altro che rassicurante, in Schoenberg. Ma chiudiamo pure la
parentesi.
Del tuo riassuntino, quel che mi disturba di più è proprio l'aspetto dei
"limiti cognitivi".
Ora, tralasciamo pure un aspetto importante, cioè che questo esula
completamente dal discorso che facevi nel post precedente (la logica
irriducibile alla ragione e alle categorie occidentali e via dicendo); ma
Reich che diavolo ne sa dei processi cognitivi? Esistono solo processi
cognitivi di cui siamo consapevoli? Della maggior parte di tali processi non
siamo consapevoli affatto. Mi pare veramente un discorso ultrasemplicistico.
Che oltre al resto, mette in luce una latenza ideologica assai preoccupante.
Quella cosa di cui, a qualsiasi costo, eviti di parlare.

> Chiedilo ad Andrea Lanza, è sua. L'avevo pure messa tra virgolette per
> farlo capire meglio.

Sì. Tu l'hai citata, mettendola fra virgolette.
Ho imparato in terza elementare che questo significa due cose: il discorso è
citato, oltre che riportato (c'è una differenza, ovviamente lo sai); il
discorso è condiviso, sostanzialmente, da chi lo riporta; si presume che
quest'ultimo lo capisca e ne sappia discutere.
Presupporre ostinatamente l'imbecillità dell'interolocutore senza mai
dimostrarla, neppure minimamente, è proprio una strategia da ultima
spiaggia.
Giusto per dire che non mi impressiona tanto.

> La frase di Lanza era riferita all'estetica del minimalismo, e in tale
> senso va interpretata. In altre parole: il minimalismo nasce da posizioni
> antitetiche rispetto a quelle della logica musicale tradizionale europea
> (Lanza scrive «dell'avanguardia», io estenederei il discorso anche
> all'Ottocento). Logica musicale che vuole che, durante l'ascolto di un
> brano, si debbano ricercare nessi strutturali e tematici tramite la
> concentrazione e la memoria. Il minimalismo vive invece sul "qui e ora",
> ovvero sul suo «farsi in tempo reale».

Nel qual caso la variazione non si capisce cosa c'entri.
Tutto il discorso di Reich, che mi riassumi sopra, allora non ha ragione di
essere.
Perché lui addirittura si preoccupa dei "limiti cognitivi", della
consapevolezza dell'ascoltatore; se non è memoria e concentrazione
questa...altro che superare la dimensione del soggetto e via
misticheggiando.
Quindi tra Reich e Glass c'è una bella differenza, direi.
Ho il sospetto che non sia l'unica.

(...)
> (quattro ore e passa di musica) sarebbe considerato di buon auspicio.

E meno male che vive nel momento.

> Va bene, martedì riferirò a Lanza, a Leoni e a Restagno che sono dei
> «banalizzatori indecenti». Immagino che provederanno a ritirare
> immediatamente dal mercato le loro pubblicazioni per apportarvi tutte le
> correzioni che vorrai gentilmente suggerirgli.
> ;-)

Beh, c'è chi si diverte a rotolarsi nel cattivo gusto, liberissimo.
Vantare o millantare le proprie frequentazioni ne è indubbiamente una
patente manifestazione. Per tacere il tono vagamente minaccioso, che
veramente è un esempio da manuale dell'umorismo involontario.
Resta un'impressione: che tu parli di Zen, sembri rimproverare a me una
scarsa conoscenza di Cage, ma dello Zen al massimo hai orecchiato qualcosa,
forse appunto attraverso Cage (buon conoscitore; non buon divulgatore).
Un'impressione, eh.
Comunque sulle mode occidentali per il pensiero orientale, Zen compreso, c'è
un bel saggio di Umberto Eco, di tanti anni fa, che sicuramente conoscerai.

dR
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15084 è una risposta a message #15077] mer, 30 marzo 2011 23:09 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"luziferszorn" <pan25712@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:fe021eff-72e2-46ee-887e-1bb93c35cabc@q36g2000yqn.googlegroups.com...

>C'è dell'ottima musica per ascensori: gran parte del Mozart sinfonico
>ad esempio. Sicuramente molto più funzionale di un brano di Glass, la
>cui essenza non può essere afferrata ascoltando distrattamente
>brandellini da 3 minuti.

Guarda che non c'è bisogno di agitarsi tanto; cosa tu abbia nella testa
ormai l'han capito tutti.

dR
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15131 è una risposta a message #15081] gio, 31 marzo 2011 20:10 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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Il 30/03/2011, Paolo Tramannoni ha detto :

>> Non parlavo né di "linguaggio" né di "stile", parlavo (quotando una tua
>> frase) di forma.
>
> Personalmente non riesco a vedere la "forma" come qualcosa di estraneo
> al "linguaggio" o allo "stile". Come definire un linguaggio senza
> affrontare anche questioni formali? Come si struttura? Che legami ci
> sono tra il micro- e il macro-strutturale?


Okay, ma - ancora una volta - io mi riferivo al caso specifico del
quartetto "Company". Comunque: ho cercato qualche informazione al
riguardo. Il file di YouTube, che tanto ha suscitato la riprovazione di
Shapiro, presenta i quattro episodi che lo costituiscono eseguiti uno
di seguito all'altro. Nella versione teatrale del testo di Beckett,
invece, i vari movimenti (brevissimi, durano da 1:30 a 2:30 l'uno,
circa) sono eseguiti separatamente in fasi diverse della
rappresentazione. Ergo, come sospettavo, la versione "da concerto" va
considerata più come una giustapposizione di elementi eterogenei, che
non come un "quartetto" nel senso classico del termine. In altre
parole, in questo caso il contenuto determina una non-forma. Voler
vedere a tutti i costi in questa "suite" di episodi eterogenei «un
primo tempo di quartetto tradizionalissimo, con tanto di introduzione
lenta» e poi lamentarsi per l'assenza di «temi» o di «sezioni di
sviluppo» è doppiamente una sciocchezza, ed è questo che contestavo.


> Quella di Glass per Einstein diventa una musica (genialmente) ancillare.
> Tolta la forza di Wilson, Glass perde spina dorsale.


Mah, non so. "Einstein" è posteriore a brani come "Music in Contrary
Motion", "Music with changing Parts" e "Music in Twelve Parts", nei
quali la poetica di Glass era già sviluppata.


>> Questo è vero, se non altro perché nella musica di Reich (o forse,
>> meglio: nella *gran parte* della musica di Reich) la cellula di
>> partenza è fondamentalmente ritmica, mentre in Glass (così come in
>> Riley) è soprattutto intervallare ...
>
> Generalizzazione un po' estrema. Ma lo ammetti anche tu. In breve: non
> riesco ad immaginare Piano Phase, con il suo fantastico intreccio di
> tasti bianchi e tasti neri, come una creazione esclusivamente ritmica.


No, certo. Chiaramente ho semplificato molto, e quando si compiono
queste operazioni, qualcosa finisce per scappare dalle maglie della
rete. Neanche "It's Gonna Rain" o "Different Trains" rientrano bene in
questa definizione. Però, allo stesso tempo, non riesco nemmeno a
immaginare un Glass che scrive brani come "Drumming" o "Clapping
Music"...


>>>> È musica che non richiede un "ascolto strutturale" ma che «si manifesta
>>>> direttamente nel suo farsi in tempo reale»
>>> Questa frase devo prenderla sul serio, o è una boutade?
>> Chiedilo ad Andrea Lanza, è sua. L'avevo pure messa tra virgolette per
>> farlo capire meglio.
>
> Ti ricordi in che libro si trova questa frase?


È proprio nel "Secondo Novecento".


> L'"ascolto strutturale"
> immagino sia il concetto di Adorno, che usa questa definizione per
> l'ascolto cosciente, non soggettivo, non massificato. Per quel che
> conosco dei testi di Lanza, con la loro asciuttezza e precisione, mi
> sembra strano che adoperi la definizione adorniana come termine
> negativo, e mi piacerebbe capire se a legare i due frammenti riportati
> ci sia qualcos'altro.


Infatti non credo che la adoperi in tal senso. Lanza mi sembra
sottilmente critico nei confronti del minimalismo, tanto da paragonarlo
più alla musica leggera che a quella "colta". Ciò non toglie che
proprio ciò che certe persone possono trovare come un limite, per altri
sia invece un pregio e uno stimolo. "Musica come processo graduale" di
Reich mi sembra che sia lì a dimostrarlo.


> Tra l'altro, ma lo saprai già, ti segnalo il capitolo sull'influenza
> dello Zen ne "Il secondo novecento" di Lanza. Mi sembra di notare che vi
> si parli estesamente di Cage, Stockhausen, Riley, Reich, LaMonte Young
> (cioè gli autori in cui il fattore filosofico-religioso è stato
> effettivamente importante), ma non vi trovo traccia di Glass! :-)


No, ma infatti per Glass, come ho scritto, ha avuto più influenza la
musica indiana. Vedi ad esempio il libro di Restagno su Reich, alle
pagine 32-35. D'altra parte, negli anni sessanta, la fascinazione per
le culture orientali era cosa abbastanza comune. Penso anche a Lou
Harrison, tanto per fare un altro nome.
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15146 è una risposta a message #15131] ven, 01 aprile 2011 00:51 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"Andrea Katic" <akatic@xxx.it> ha scritto nel messaggio
news:in2g2o$cos$1@speranza.aioe.org...

>Ergo, come sospettavo, la versione "da concerto" va considerata più come
>una giustapposizione di elementi eterogenei, che non come un "quartetto"
>nel senso classico del termine. In altre parole, in questo caso il
>contenuto determina una non-forma. Voler vedere a tutti i costi in questa
>"suite" di episodi eterogenei «un primo tempo di quartetto
>tradizionalissimo, con tanto di introduzione lenta» e poi lamentarsi per
>l'assenza di «temi» o di «sezioni di sviluppo» è doppiamente una
>sciocchezza, ed è questo che contestavo.

Di fronte a manipolazioni di questo tipo mi domando se sia questione di
malafede (ma preferirei non pensarlo) o, più semplicemente, di
incomprensione.
Allora, sinteticamente: il "come sospettavo" è alquanto inopportuno, visto
che quest'idea del montaggio arriva solo adesso, e non è mai stata
anticipata, almeno non mi sembra. Compare ora. Prima si parlava addirittura
di "critica" alle forme tradizionali. Perché sia possibile una critica,
dovrebbero essere perlomeno citate.

Che la giustapposizione determini una "non-forma" (qualsiasi cosa essa sia),
è tutto da vedere. Può essere benissimo il contrario. Che la "forma"
teatrale sia la frammentazione di un percorso fondamentalmente unitario, per
esempio. Che ritrova se stesso nell'esecuzione completa. In ogni caso, il
modo di procedere degli esecutori avrà pure delle motivazioni. Sempre là
siamo, quel che esce dalla porta rientra dalla finestra, in perfetta
analogia con la musica (con la minuscola) di cui andiamo, ahimé, tanto
discettando.

Non ho mai *lamentato* l'assenza di temi o di sezioni di sviluppo. Per
l'ennesima volta, ho detto ben altra cosa: che ci troviamo di fronte a una
forma che consiste, assai visibilmente, in un succedersi di episodi ben
riconoscibili, differenziati secondo parametri consueti all'ascoltatore; si
ha addirittura l'impressione di un'introduzione lenta, dicevo ad esempio.
Ora, come già più volte ripetuto, la riconoscibilità degli episodi è un
appiglio, una segnaletica, una forma di indicazione assai forte per
l'ascoltatore, che si orienta di conseguenza nello svolgersi del pezzo, e ha
la sensazione di capirlo proprio perché le soluzioni di continuità non
possono sfuggirgli. Solo che a "svolgersi" o a "risolversi" nel senso
proprio del termine, cioè in senso linguistico, non c'è nulla; il percorso
che cuce gli episodi è il loro succedersi meramente fisico, dove puramente
fisica è pure la nozione del tempo, altro che trascendenza o illuminazione.
E quindi non c'è neppure granché da capire.
Per questo, facendo dell'ironia, dicevo che si ottiene qualcosa di assai
riconoscibile (discorso analogo vale per l'armonia), di apparentemente
comprensibile, senza prendersi la briga di pensare dei temi e di svilupparli
coerentemente, cioè di organizzare una forma vera e propria, con la propria
ragion d'essere interna; o di ricorrere ad altri procedimenti che appunto
portino ad un percorso linguistico. A togliere ogni dubbio doveva ben
bastare la metafora scelta, quella del "guscio vuoto" formale. Oppure il
riferimento fatto più volte alle strategie compositive di Schoenberg e
Stravinskij, che le forme tradizionali le ripercorrono ( le "criticano")
appunto dal di dentro, partendo dalla logica linguistica delle componenti
minime; riferimento, si intende, a prassi compositive intese come
diametralmente opposte.
Capisco che quando ci si senta investiti di una qualche forma di sapere
superiore o mistico riconoscere un minimo sindacale di ironia sia
difficoltoso. Lo stesso quando si dà per scontata la propria superiorità.
Non si capisce bene in che campo, francamente; se non nel cambiare
indecorosamente le carte in tavola, con la massima disinvoltura, per almeno
tre volte.

Ora, tutto ciò, che qui espongo per la terza volta almeno, non ha alcuna
familiarità, neppure remota, con quanto viene sopra malamente riassunto. Lo
capirebbe un ragazzo delle scuole dell'obbligo, mi viene da dire. Purché sia
presente un minimo di onestà intellettuale, dove la parolona, visto il
contesto, non è tanto il sostantivo, quanto l'aggettivo.

> Infatti non credo che la adoperi in tal senso. Lanza mi sembra sottilmente
> critico nei confronti del minimalismo, tanto da paragonarlo più alla
> musica leggera che a quella "colta".

Ah. Tutto torna, alla fine.

>Ciò non toglie che proprio ciò che certe persone possono trovare come un
>limite, per altri sia invece un pregio e uno stimolo.

Che è banalità da gareggiare con le solite, risapute stagioni dimidiate.

> No, ma infatti per Glass, come ho scritto, ha avuto più influenza la
> musica indiana.

E allora perché parlavi di Zen? Che c'entrava?

>Vedi ad esempio il libro di Restagno su Reich, alle pagine 32-35. D'altra
>parte, negli anni sessanta, la fascinazione per le culture orientali era
>cosa abbastanza comune. Penso anche a Lou Harrison, tanto per fare un altro
>nome.

In quest'ultimo paragrafo, c'è almeno una cosa positiva: la scelta del
termine, "fascinazione".
Nella maggior parte dei casi, di altro non si tratta.

Per tutto il resto: ti sarei grato se, anziché manipolare il mio pensiero lo
contestassi o ammettessi di non averlo capito (forse perché non l'ho
spiegato convenientemente) rivolgendoti al diretto interessato.
Mi pare davvero il minimo dell'educazione; anche se francamente, da parte di
un personaggino piccolo piccolo, che non esita a tirare in ballo le proprie
illustri frequentazioni, coinvolgendole in minacce neppure tanto velate con
funzioni di (riluttanti, immagino) mallevadori, non è certo lecito
aspettarsi granché.

dR
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15230 è una risposta a message #14954] sab, 02 aprile 2011 00:56 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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http://www.youtube.com/watch?v=ENagJfLAtlo

"Meeting along the Edge", Ravi Shankar & Philip Glass.
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15265 è una risposta a message #15230] sab, 02 aprile 2011 22:05 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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> http://www.youtube.com/watch?v=ENagJfLAtlo
>
> "Meeting along the Edge", Ravi Shankar & Philip Glass.

Coerente con le premesse.

Basta recensioni di fumetti, sul blog.
Dai.
Non li conosco e mi annoio.
E' uscita tanta narrativa, bella e brutta.


dR
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15270 è una risposta a message #15265] sab, 02 aprile 2011 22:25 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"Shapiro used clothes" ha scritto
> E' uscita tanta narrativa, bella e brutta.

Accetto la sfida. ;-)
Al momento sto leggendo il saggione di Citati su Leopardi, "Fuori" di Renzi
e la piccola biografia di Mozart scritta da Paolina Leopardi.
Re: Vi piace Philip Glass? [messaggio #15276 è una risposta a message #15265] sab, 02 aprile 2011 22:31 Messaggio precedente
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"Shapiro used clothes" <vittoriocol@tin.it> ha scritto nel messaggio
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>
> "sunbather" <sunbather@virgilio.it> ha scritto nel messaggio
> news:4d965850$0$38651$4fafbaef@reader1.news.tin.it...
>
>> http://www.youtube.com/watch?v=ENagJfLAtlo
>>
>> "Meeting along the Edge", Ravi Shankar & Philip Glass.
>
> Coerente con le premesse.

ma cos'è? di cosa parlano, scusa?
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