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ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17763] sab, 04 giugno 2011 10:57 Messaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
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COSA RESTA DELLA MUSICA
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/ 2011/06/03/cosa-resta-della-musica.html
03 giugno 2011 — pagina 45 sezione: CULTURA
Anticipiamo un brano da Senti questo, in uscita da Bompiani Oltre un
secolo fa, il compositore e direttore di banda John Philip Sousa
ammoniva che la tecnologia avrebbe distrutto la musica. Nel 1906,
davanti al Congresso degli Stati Uniti, dichiarò: «Queste macchine
parlanti rovineranno lo sviluppo artistico della musica nel nostro
paese. Quando ero bambino... nelle sere d' estate, davanti a ogni casa
c' erano giovani che intonavano insieme canzoni del momento e vecchie
melodie. Oggi si sentono andare giorno e notte queste macchine
infernali. Non ci resterà neanche una corda vocale». Sousa approfondì
l' argomento in successivi articoli e interviste. «Tutti avranno la
loro musica bell' e pronta nell' armadio, autentica o piratata». Sousa
affermò inoltre che qualcosa va irrimediabilmente perduto quando non
siè più in presenza di corpi che fanno musica: «Il canto dell'
usignolo e incantevole perché è l' usignolo a emetterlo». Prima di
liquidare Sousa come un vecchio stizzoso, sarebbe il caso di
riflettere su quanto sia cambiata la musica negli ultimi cento anni.
Ha conseguito una dilagante ubiquità nel nostro mondo: milioni di ore
della sua storia sono disponibili su compact disc; fiumi di melodie
digitali fluiscono nella rete; riproduttori di mp3 con quarantamila
canzoni stanno comodamente nella tasca posteriore dei pantaloni o in
una borsetta. Tuttavia, per la maggior parte di noi, la musica non è
più qualcosa che facciamo di persona,e neppure che vediamo fare a
qualcun altro sotto i nostri occhi. È diventata un mezzo radicalmente
virtuale, un' arte senza volto. In una giornata qualunque, andando in
giro per la città, le nostre orecchie captano musica a ogni passo -
bassi pompati dalle auto di passaggio, frammenti di hip-hop che
filtrano dalle cuffie degli adolescenti in metropolitana, il cellulare
di un avvocato che cinguetta l' Inno alla gioia di Beethoven - ma
raramente sarà il risultato immediato del lavoro fisico di mani o voci
umane. Una percentuale sempre minore di persone sa suonare uno
strumento o leggere la musica. Nel futuro, potrebbe dire il fantasma
di Sousa, la riproduzione soppianterà la produzione. Gli ascoltatori
trasformati in zombie sfoglieranno gli archivi del passato, la nuova
musica non consisterà che in rimaneggiamenti di quella vecchia. Da
quando Edison ha inventato il cilindro fonografico, nel 1897, non si è
mai smesso di ponderare ciò che la tecnologia della registrazione ha
fatto all' arte della musica, e per essa. Inevitabilmente, il discorso
ha preso una piega estremistica e retorica. Sousa fu un precoce
portavoce del partito catastrofista, variamente rimpolpato in seguito
da reazionari, bastian contrari, luddisti e teorici postmarxisti.
Nell' angolo opposto del ring ci sono gli utopisti, i quali sostengono
che la tecnologia ha liberato, e non imprigionato, la musica, portando
l' arte dell' élite alle masse e l' arte dei margini al centro. (...).
Ogni volta che appare un nuovo congegno, gli addetti alle vendite
sottolineano immancabilmente come renda obsoleto quello che l' ha
preceduto. L' automobile ha spedito in soffitta la ferrovia, il
computer ha sostituito la macchina da scrivere. Sousa temeva che il
fonografo soppiantasse la musica dal vivo. Le sue paure erano
eccessive, ma non irrazionali (...). Ciascuno dei successivi balzi
nella tecnologia audio- microfoni, nastri magnetici, lp, stereofonia,
transistor, suono digitale, cd e mp3 - ha suscitato reazioni
altrettanto esagerate. L' ultimo congegno inebria, rendendo difficile
distinguere la realtà dalla riproduzione, mentre viene messa a nudo l'
inadeguatezza, e persino la primitività, della macchina che solo ieri
appariva una meraviglia della tecnica. Nel 1931, quando il compositore
e critico Deems Taylor ascoltò un pionieristico esempio di
registrazione stereofonica, commentò: «La differenza tra ciò che
sentiamo di solito e ciò che ho sentito è all' incirca la stessa che
corre tra guardare la fotografia di una persona e vederla in carne e
ossa». Vent' anni dopo, Howard Taubman scrisse di un lp dell'
etichetta Mercury: «Il suono dell' orchestra è tanto fedele che si ha
l' impressione di star ascoltando la sua presenza vivente». (La
Mercury adottò prontamente l' espressione «Living presence» come
slogan.) La pubblicità di un hi-fi anni cinquanta offriva ai suoi
acquirenti «Il posto migliore nella sala da concerto» - un' esperienza
non solo eguale a quella del concerto, ma superiore ad essa, in quanto
purificata dall' inconveniente della «distrazione rappresentata dal
pubblico». Una pubblicità televisiva degli anni settanta con Ella
Fitzgerald rimase famosa con la sua domanda: «È dal vivooè
Memorex?» (...) Il procedimento magnetico consentiva agli esecutori di
inventare la propria realtà all' interno dello studio. Gli errori
potevano essere corretti unendo tratti di riprese diverse. Negli anni
sessanta, i Beatles e i Beach Boys, sulla scia delle composizioni
elettroniche di Cage e Stockhausen, costruirono in studio intricati
paesaggi sonori che mai avrebbero potuto essere replicati sul palco.
Ebbe così inizio il grande dibattito sull' autenticità all' interno
del rock. I Beatles stavano facendo compiere dei passi in avanti all'
arte reinventandola nello studio? O stavano perdendo il contatto con
la ruvida intelligenza delle tradizioni folk, blues e rock? Bob Dylan
si poneva all' estremo opposto, cavando fuori un disco nel giro di
qualche giorno ed evitando fino agli anni settanta le sovraincisioni
vocali. Clinton Heylin, studioso di Bob Dylan, fa notare che mentre i
Beatles impiegarono 129 giorni per forgiare Sgt. Pepper, a Dylan ne
bastarono 90 per realizzare i suoi primi quindici dischi. E tuttavia
la registrazione senza fronzoli, lo-fi, non può rivendicare una
maggior autenticità; anzi, è facile che diventi solo l' ennesimo
effetto, l' effetto dell' assenza di effetti. Gli attuali gruppi di
rock neoclassico pagano fior di quattrini per suonare «invecchiati».
L' avvento dell' era digitale fu, per molti scettici, il massimo
affronto. I tradizionalisti ebbero la sensazione che il prodotto
finale fosse una sorta di musica androide. Il cantautore canadese Neil
Young si mostrò particolarmente impietoso: «Ascoltare un cd è come
guardare il mondo attraverso una zanzariera». Passo dopo passo,
seppure sempre più «realistiche», le registrazioni sono diventate un
mondo sempre più fittizio. L' ultima frontiera - per il momento - è
stata raggiunta con Auto-Tune, Pro Tools e altri tipi di software
digitali in grado di correggere esecuzioni imprecise e creare intere
orchestre dal nulla. Basta premere un tasto e una starlette stonata
diventa melodiosa mentre un gruppo di college rock assume sonorità
wagneriane. E tuttavia una sorta di equivalente sonoro della legge
della conservazione dell' energia implica che queste incessanti
rivoluzioni creino una specie di compensazione. Ciarlatani, venditori
di fumo e mediocrità hanno prosperato in ogni epoca; artisti di genio
riescono a sopravvivere, o almeno a fallire in modo memorabile. La
tecnologia ha certamente favorito le nullità, ma ha anche dato una
mano a coloro cui mancava un appoggio nel sistema. Ciò risulta
evidente soprattutto nella musica afroamericana. Fin quasi dall'
inizio, la registrazione permise ai musicisti di colore ai margini
della cultura - in particolare ai cantanti blues del delta del
Mississippi - di farsi sentire senza bisogno d' altro che della voce e
di una chitarra. Molti di questi artisti furono imbrogliati dai
lestofanti delle compagnie discografiche, ma la loro musica riuscì ad
arrivare al pubblico. Le registrazioni diedero ad Armstrong,
Ellington, Chuck Berry e James Brown la possibilità di occupare una
piattaforma globale che l' idilliaca, vecchia America di Sousa,
razzista fino al midollo, avrebbe precluso loro. (...) L' hip-hop, la
forma dominante del pop al volgere del millennio, fornisce la
dimostrazione più elettrizzante dell' autonomia che la tecnologia ha
reso possibile. Come spiega Jeff Chang nel suo libro Can' t Stop Won'
t Stop: A History of the Hip-Hop Generation, il genere sorse in poveri
ghetti di palazzoni, dove le famiglie non si potevano permettere di
comprare strumenti ai loro ragazzi e anche le forme più rudimentali di
attività musicale sembravano irraggiungibili. © 2010 by Alex Ross ©
2011 Bompiani / RCS Libri S. p. A. Traduzione di Andrea Silvestri -
ALEX ROSS
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17765 è una risposta a message #17763] sab, 04 giugno 2011 12:04 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"luziferszorn" <pan25712@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:d14e08f3-6adc-4f36-abb5-4c6e26f9745a@em7g2000vbb.googlegroups.com...

>COSA RESTA DELLA MUSICA

Quando leggo questo genere di articoli mi viene in mente sempre la stessa
cosa (e magari parlo di "genere" proprio per quello; eleggo a denominatore
comune una caratteristica che forse sovrastimo); mi pare l'ennesima
applicazione, a volte accorta a volte pedestre, di un concetto e di un
interrogativo centrali nel pensiero del '900. L'importanza assunta dalla
tecnologia comporta necessariamente un certo tipo di conseguenze storiche,
formulazione in cui ha peso il "necessariamente"? Esiste ancora la
differenza fra la tecnica e l'uomo che l'adopera, o l'uomo, come vuole
un'illustre tradizione di pensiero (prevalentemente di destra!), è stato
fagocitato dalla tecnica, che è rimasta il vero soggetto (l'uomo si illudeva
soltanto)? Tale tecnica esprime una soggettività inalienabile e ineludibile,
esiste ancora la differenza fra conditio sine qua non e conditio qua?
Per buttarla più sul pop: la tecnica è proprio così, o così la pensiamo
(disegnamo) noi, come Jessica Rabbit?
Sbaglierò, ma io credo che nello svolgersi della storia questi mutamenti,
per quanto epocali, siano una conditio del primo tipo. Insomma, di per sé
non spiegano tutto, anche se hanno la loro importanza. Pretendere che sia
vero il contrario è come ridare valore all'argomento della china pericolosa;
se i pericoli ci sono, non è detto che si verifichino. Per i fautori della
china pericolosa, si verificheranno di sicuro (i pericoli che vedono loro,
ovviamente).
Anche (persino) Martin Heidegger commetteva errori.
Almeno spero. Fermo restando che Sousa aveva le sue ragioni. Io, ad esempio,
non sopporto i telefonini, ma ho anche la fortuna di poterne fare a meno.
Questo però non significa che non prenderò *necessariamente* certe malattie,
purtroppo (le due conditio, per intenderci).

dR
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17766 è una risposta a message #17765] sab, 04 giugno 2011 12:28 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Alain  è attualmente disconnesso Alain
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Shapiro used clothes ha scritto:
> Quando leggo questo genere di articoli
Se permetti riassumo in due parole: o di qui o di la va bene comunque.
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17769 è una risposta a message #17763] sab, 04 giugno 2011 12:55 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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Alex Ross è un bravo giornalista, ma è sempre stato un campione dell'ovvio.
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17770 è una risposta a message #17763] sab, 04 giugno 2011 13:16 Messaggio precedenteMessaggio successivo
cap  è attualmente disconnesso cap
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On 4 Giu, 10:57, luziferszorn <pan25...@gmail.com> wrote:

> COSA RESTA DELLA MUSICA
[...]
> ALEX ROSS

Chissà se Benjamin era negli omissis...
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17773 è una risposta a message #17766] sab, 04 giugno 2011 14:47 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"Alain" <deimos@marte.dom> ha scritto nel messaggio
news:isd1ck$eiq$1@speranza.aioe.org...

> Se permetti riassumo in due parole: o di qui o di la va bene comunque.

No.

dR
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17774 è una risposta a message #17770] sab, 04 giugno 2011 14:48 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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"cap" <clamarcap@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:3cb7a1a0-a646-47e6-95b8-a0ac8adcd88a@b1g2000yql.googlegroups.com...

>Chissà se Benjamin era negli omissis...

Non credo gli dispiacerebbe.
Troverebbe la circostanza emblematica (allegorica no).

dR
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17775 è una risposta a message #17773] sab, 04 giugno 2011 14:56 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Alain  è attualmente disconnesso Alain
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Shapiro used clothes ha scritto:
>
> "Alain" <deimos@marte.dom> ha scritto nel messaggio
> news:isd1ck$eiq$1@speranza.aioe.org...
>
>> Se permetti riassumo in due parole: o di qui o di la va bene comunque.
>
> No.
>
> dR

Se permetti riassumo in due parole: o di qui o di la non va bene comunque.
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17780 è una risposta a message #17763] sab, 04 giugno 2011 19:31 Messaggio precedenteMessaggio successivo
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Molte ovvietà, un po' di confusione (tra tecnologia intesa come
"riproducibilità tecnica delle furono aurali esecuzioni musicali"e
tecnologia come "strumento creativo" [vd. il riferimento all'hip hop o
alle tecniche di produzione / sound engineeering nell'ambito pop/rock,
come se il produttore non fosse anche lui un esecutore]), con finale
apparentemente apocatastatico.

Sulla tecnologia di riproduzione come perdita dell'aura è stato già
scritto tutto e meglio cent'anni fa (e qualcosa di quanto vanno
sostenendo gli apocalittici dell'autenticità aurale o spontaneistica è
pure condivisibile; per certi versi, io stesso mi sento vittima della
passività musicale indottami dalla possibilità di ascoltare vecchi
Milstein e Richter con conseguente attaccamento al chiodo di
pianoforte e violino); Celidibache e i sedicenti fenomenologi hanno
ribadito il concetto. Ma dare alla "tecnologia" solo il contentino
della rilevanza sociale data a fenoneni musicali più o meno negroidi
(ché, in fondo, questo mi pare iil risultato dell'estratto rossiano)
mi sembra quanto meno riduttivo.
Re: ARR ossia Alex Ross Reloaded [messaggio #17793 è una risposta a message #17769] dom, 05 giugno 2011 11:37 Messaggio precedente
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On 4 Giu, 12:55, The Squash Delivery Boy <deliverysqu...@gmail.com>
wrote:
> Alex Ross è un bravo giornalista, ma è sempre stato un campione dell'ovvio.


Vero. Questo però non è un articolo ma un estratto dal più recente
libro. Non mi dilungherei in analisi, per ora. Posso già dire, però,
che la questione sul pop è trita, mentre qui viene riproposta come se
fosse una novità. Mi chiedo se quelli di Repubblica ricicleranno pure
il Baricco come opinionista. Mi rifiuto di pensare che in giro non ci
sia gente che formula e ragiona meglio di Baricco e Ross.

lz
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