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Jonathan Wilson - Gentle Spirit [messaggio #117022] dom, 28 agosto 2011 16:05 Messaggio precedente
Altura Do Sol  è attualmente disconnesso Altura Do Sol
Messaggi: 97
Registrato: novembre 2010
Member
Al primo impatto mi risulta assai.
Fortuna le recensioni di Bertoncelli a salvare il panorama! :-)
---

Uno dei più bei dischi dell’annata mi fa venire l’orticaria. Odi e at
amo, catullianamente, questi (non più tanto) ragazzi del nostro tempo
che cercano rifugio dalle intemperie dell’attualità con appassionate
fughe indietro nel tempo, verso quegli anni 60 e 70 che sembrano un
perfetto, accogliente shelter from the storm. Jonathan Wilson è del
1974, quindi gli anni che venera e struggentemente rievoca non li ha
vissuti. Però li ha studiati, li ha assaporati golosamente con la lingua
dell’amore e della nostalgia e qui ne propone una personale
trasfigurazione: dolce inquietante irritante irresistibile, com’è nei
casi migliori di questi “banditi del tempo”, per dirla come Terry
Gilliam, che sempre più di frequente incrociano la nostra strada (ne
abbiamo parlato a lungo a proposito dei Fleet Foxes).

Prendi la canoa della tua mente, scivoli per le acque chete di un disco
lungo ma non affaticante, e tra gli spruzzi di chitarra e i luminosi
vapori di tastiere ed elettronica gentile intravvedi un mondo favoloso
che ti chiama con il canto delle sirene: Crosby, Stills & Nash, i Pink
Floyd, i Led Zeppelin del terzo LP, Neil Young con i Crazy Horse, gli
Spirit di Randy California. Detesti la nostalgia però ti vengono dubbi.
Perché no? In fondo non è un delitto tornare a quelle città fantasma e
vedere se c’è ancora dell’oro nelle miniere abbandonate un giorno, after
the goldrush. Wilson è un bravo cercatore, o forse solo un illusionista;
quando fa balenare pepite come Desert Raven o Woe Is Me sembra che il
tempo si sia fermato e non bastano due, tre, quattro ascolti per
chiarire se quella canzone la conoscevi già o è solo la naturale
proiezione di tanti temi classici archiviati nel juke box della memoria.

Wilson doveva debuttare come solista nel 2007, aveva già un album pronto
ma l’ha soffocato nel cassetto. Ha preferito fare altro e guadagnarsi
una fama di culto collaborando con emergenti come i Dawes e vecchi
santoni come Costello, Jackson Browne, Robbie Robertson. Ora è il tempo.
Ha lavorato per lo più in solitudine, nel vecchio studio di Laurel
Canyon (ecco un altro mito amato e rievocato) e in quello nuovo di Echo
Park, e alla fine ha disegnato questo fine tratteggio di tredici brani
per un’ora e venti di musica – un doppio LP di quelli di una volta. Ci
sono poco rock e molti sogni, passi felpati, sonnambulismo sul filo teso
del passato: le canzoni sono lunghe, dieci minuti e oltre, e le
divagazioni sempre bene accette, e code che non finiscono mai.
Registrato in analogico, naturalmente, “perché così è meno grezzo, e
crea una bellezza speciale”.

Sarà un caso dei prossimi mesi. Credo che di Wilson sentiremo parlare a
lungo, anche se non mancano gli scettici ed è meno malizioso di quel che
sembri chi riduce l’ascolto di un album così a un trattamento
terapeutico: “una seduta di riflessologia più una modica dose di
diazepam”.

di Riccardo Bertoncelli
 
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