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Ritorno su Quartett con qualche riflessione in pi [messaggio #16671] ven, 13 maggio 2011 00:30
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
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Registrato: dicembre 2010
Senior Member
Dopo aver visto alla Scala Quartett, l'opera di Luca Francesconi, se da
una parte sono stato impressionato dal fascino di una rappresentazione
in cui musica, scenografia, movimenti scenici convergono a formare uno
spettacolo unitario, coerente e globalmente coinvolgente, dall'altra
parte sono rimasto turbato dalla problematicità di un'opera i cui
significati reconditi mi sono apparsi di non semplice e immediata
interpretazione.
Come è noto l'opera richiama alla lontana i temi dal celebre romanzo di
Choderlos de Laclos, Les Liaisons dangereuses, e in senso molto più
stretto il lavoro teatrale di Heiner Müller ad esso ispirato, Quartett,
appunto.
L'ambiente in cui si svolge l'opera è lo stesso del romanzo francese:
siamo negli ultimi anni che precedono lo scoppio della rivoluzione
francese. La vita della nobiltà si esercita in nefandezze e in seduzioni
sessuali gratuite, prive di qualsiasi considerazione e rispetto per la
dignità della persona, e, come conseguenza, in mancanza di valori
sostanziali in cui riconoscersi, precipita verso un disfacimento che
coinvolge tutta la società. Il visconte di Valmont e la marchesa di
Merteuil sono i punti di riferimento più espliciti in questo ambiente,
mentre altri personaggi, come madame de Tourvel, mademoiselle Volanges,
e altri ancora, impersonando il tessuto sociale, rappresentano le
vittime, ma anche i complici, consapevoli o meno, delle nefandezze. Il
romanzo è epistolare e nelle lettere che protagonisti e personaggi vari
si scambiano, vengono riportati i fatti e viene mostrato come, sulla
loro scia, la società va disgregandosi.
Müller, riprendendo il tema generale, lo espone mettendo in scena il
confronto, che si sviluppa lungo tutto il lavoro, fra i due protagonisti
del romanzo di de Laclos, Valmont e Merteuil. Adotta quindi un artificio
scenico per cui i due protagonisti non solo interpretano se stessi e
manifestano le proprie pulsioni, ma, scambiandosi ruolo e in certo qual
modo travestendosi, interpretano anche reazioni e sentimenti delle due
principali vittime della seduzione di Valmont, madame de Tourvel e la
giovane vergine Cecilia Volanges, nipote della Merteuil. In modo più
esplicito e con carattere più generalizzante che nel romanzo, in questo
lavoro l'assenza di valori e la disgregazione sociale sono posti in
primo piano: nei rapporti fra uomo e donna quello che emerge è il
possesso. La seduzione ne è lo strumento. I sentimenti non rappresentano
un valore; al contrario, sono considerati un disvalore, attribuibile con
disprezzo ai ranghi più bassi della società. La conseguenza di tutto
questo non può essere che la morte. La morte delle persone: Valmont
morirà alla fine del dramma per aver bevuto, consapevolmente, il veleno
offertogli dalla Merteuil. Certo, muore come persona fisica, Valmont, ma
resta sospeso nell'ambiguità interpretativa se questa morte
drammaturgicamente si estenda anche alle vittime della sua seduzione.
Non a caso l'ultima battuta della marchesa di Merteuil, che assiste alla
morte del visconte, recita: «Morte di una puttana. Adesso siamo solo
cancro, amore mio». Ma anche la morte della società. Non a caso, ancora,
la didascalia scenica che precede il lavoro recita testualmente: "un
salotto prima della rivoluzione francese; un bunker dopo la terza guerra
mondiale". È evidente il riferimento a due situazioni di profonda crisi,
che si pongono al di là del tempo e dello spazio, e che simboleggiano
globalmente la disgregazione di un'umanità ormai priva di valori.

L'opera di Francesconi riprende in modo quasi letterale il dramma di
Müller. Con alcune modifiche. Anzitutto la scelta della lingua.
Francesconi usa l'inglese, motivando questa scelta con la constatazione
che l'inglese, bene o male, è una lingua universalizzata (nel corso del
testo del libretto vengono usate solo una sessantina di parole, quelle
più diffuse e conosciute anche da persone di differente madre lingua) e
quindi più adatta ad esprimere una situazione che, pur incarnandosi in
un evento specifico, assume un carattere globale. In secondo luogo,
utilizzando la musica come principale mezzo espressivo, è costretto a
ridurre il testo di Müller, selezionando singole frasi e tagliandone
altre, col risultato, tuttavia, che la lettura del libretto, e di
conseguenza il canto sul palcoscenico, finiscono per perdere in
comprensibilità. Per questo credo che sia opportuno affrontare
l'ascolto dell'opera dopo aver letto, oltre al libretto, anche il dramma
di Müller. Un ulteriore modifica rispetto al testo di Müller è
l'introduzione, negli interventi dei protagonisti, di momenti di
riflessione, o di interrogazione, o di desiderio, che il compositore
definisce sogni.
La musica interviene per tradurre in termini espressivi queste
alternanze. E ciò è ottenuto con una straordinaria varietà timbrica.
Nell'opera vengono usate due orchestre: una esterna e una interna,
costruendo in tal modo un ambiente tridimensionale nel quale lo
spettatore si sente immerso. L'orchestra esterna sembra interpretare,
nel più vasto ambito della società, quelle che sono le pulsioni e le
costruzioni connesse con la vicenda drammatica, fungendo quasi da
preludi o intermezzi alle scene vere e proprie che invece trovano
espressione soprattutto nell'orchestra "interna", come accompagnamento o
contrappunto agli interventi vocali. Un coro invisibile sottolinea col
timbro della voce umana questo aspetto generalizzante, quasi un coro
greco di commento, ma espresso senza parole, come puro suono. Infine i
sogni, che si inseriscono nel contesto drammatico, trasferiscono la
costruzione degli intrighi e delle nefandezze, in momenti più interiori
(ciò che manca nel lavoro di Müller), come se questi comportamenti
finissero per ripiegarsi sui loro stessi e costruissero la
contraddizione che porterà alla morte i personaggi. La musica in queste
occasioni assume un ruolo e un timbro che la differenzia sostanzialmente
da quella strumentale, affidandosi soprattutto all'espressione
elettronica.
Tutto questi aspetti danno all'opera una complessità che rende non
semplice e tantomeno immediato l'ascolto, almeno in prima battuta. Come
già ho osservato in altra sede, il contemporaneo "tener dietro" alle
parole, alla loro traduzione, alle immagini che si svolgono sulla scena,
all'ascolto di timbri sempre diversi che si incrociano per realizzare le
diverse scene, non consente di rendersi conto in modo compiuto e diretto
dei contenuti del dramma e in sostanza delle stessa drammaturgia.
Certamente una lettura, compreso il dramma di Müller, e un ascolto
anticipato, e un successivo riascolto possono aiutare a superare queste
difficoltà. Forse, come qualcuno ha affermato, sarebbe stato opportuno
che la RAI avesse effettuato una ripresa televisiva che avrebbe
consentito una utile rivisitazione dell'opera.

La rappresentazione. Se la comprensione dei significati e della trama
drammaturgica ha offerto le difficoltà che ho cercato di esporre, il
piacere alla visione e all'ascolto è stato senza riserve.
Anzitutto la regia, dovuta ad Alex Ollé, della Fura dels Baus. In
funzione della musica, e dei suoi timbri mutevoli, la scena deve
rappresentare da una parte la claustrofobia del confronto fra i due
protagonisti; dall'altra l'irruzione di una società malata, disgregata
che funge da eco amplificata delle nefandezze perpetrate; e in terza
istanza la descrizione immaginifica suggerita dai sogni, con il loro
richiamo alla fisicità dei corpi come oggetti di seduzione, la loro
mutevolezza e la loro alternanza.
Il primo aspetto è realizzato da un ambiente a forma di parallelepipedo,
il "salotto" o "bunker" nel linguaggio di Müller, posto al centro del
palcoscenico, sostenuto da una fitta rete di cavi che lo tengono
sospeso. Esso, con un bel colpo di teatro, si materializza al termine di
un approccio tipo Google Earth che dal panorama della città ci introduce
nel palazzo. L'immagine suggerisce già all'inizio, l'esistenza di uno
stretto rapporto fra il mondo esterno, la società insomma, e gli eventi
sui quali è costruito il dramma. La musica che accompagna questo
iniziale evento scenografico è musica dell'orchestra esterna, che poi,
al momento in cui la marchesa di Merteuil inizierà il proprio monologo
all'interno del "salotto", verrà trasferita all'orchestra interna.
La scena si viene così ad articolare in tre diverse organizzazioni, come
i tre diversi timbri offerti dalla musica: la musica esterna, la società
e la sua disgregazione, rappresentata scenograficamente dalle proiezioni
sullo sfondo, che via via offrono vedute di cielo azzurro che circondano
il parallelepipedo centrale, di bianche nubi vaganti, muri, folle
ammassate, costruzioni ed edifici, crolli di varia natura; la musica
strumentale interna, che accompagna il confronto fra i due protagonisti
claustrofobicamente all'interno del "bunker", nel quale l'illuminazione
tende a dare risalto ai vari intrighi e ai vari travestimenti; il timbro
elettronico della musica che accompagna i sogni, e che trova
corrispondenza con proiezioni sulla parete di fondo, che non si limitano
a circondare il bunker, ma che ne coinvolgono lo spazio inglobandolo:
corpi che si avvinghiano, espressioni del viso allucinate, occhi che si
dilatano e che perforano lo spazio interno del parallelepipedo, etc.
Tutto questo si sviluppa in un'atmosfera nella quale sogno e realtà
sembrano incrociarsi e avvolgere lo spettatore in un continuum di
attenzione e di interesse, anche se la riflessione sembra non trovare,
almeno al momento dell'ascolto, risposte immediatamente convincenti.
I due protagonisti, Allison Cook come marchesa di Merteuil e Robin Adams
come visconte di Valmont, cantano e recitano in modo impeccabile. La
claustrofobia dei loro incontri si manifesta nell'agitazione di corpi
sopraffatti dal desiderio, o nei travestimenti che trasferiscono il modo
di essere nell'alternativa della seduzione e del suo esprimersi in
positivo e in negativo, e contrappuntata con le immagini proiettate
sulla sfondo. Non ho abbastanza esperienza e cultura per poter esprimere
un giudizio sull'operato del direttore d'orchestra, una graziosissima
signora finlandese dal nome impronunciabile, Susanna Mälkki. Ma dato che
tutto mi ha dato la sensazione aver funzionato in modo perfetto, devo
arguire che anche il suo operato sia stato all'altezza di un risultato
di alto livello. Da rilevare, come è stato sottolineato da più parti,
che è la prima volta che una rappresentante del gentil sesso dirige
un'opera alla Scala
Alla fine il pubblico, più numeroso di quanto mi sarei aspettato, ha
tributato agli interpreti e allo stesso compositore un caloroso
applauso che, a mio avviso, denota che l'interesse per la musica
contemporanea, quando essa è in grado di offrire un reale spettacolo
teatrale, è ancora alto.

Saluti a tutti

Rudy

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