Live Support My forum, my way! Il forum dei newsgroup: Classica » DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni
My forum, my way! Il forum dei newsgroup
Fast Uncompromising Discussions.Newsgroup FUDforum will get your users talking.

Loading
Utenti      F.A.Q.    Registrati    Login    Home
Home » Musica » Classica » DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni
DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14318] sab, 19 marzo 2011 01:43 Messaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
Amore e Morte, Eros e Tanatos: è un po' il filo conduttore del romanzo
breve di Mann La morte a Venezia e dell'omonima opera di Britten. La
morte fa la sua comparsa subito, fin dalla scelta del nome di
Aschenbach: Gustav, come Gustav Mahler, il tormentato e nevrotico
compositore morto appunto nel 1911, l'anno in cui si immaginano
svolgersi i fatti narrati nel romanzo. E la morte, nel romanzo, assume
le vesti di quattro personaggi ambigui, che stanno fra il reale e
l'irreale: Il viaggiatore, incontrato proprio all'inizio durante la
passeggiata in un cimitero, che penetrerà nei suoi pensieri angustiati
dalla crisi creativa, e che lo convincerà a viaggiare, ad andare a
Venezia, dove la morte trionferà sotto il segno del colera; poi, il
finto giovane sul bastimento, che gli apre la via della decadenza fisica
e degli illusori ostacoli che invano si tenta di opporle; ma egli
stesso, nella grottesca scena finale del barbiere, cadrà nella stessa
illusione e nel conseguente disgusto per se stesso; il gondoliere
abusivo che lo accompagnerà al lido, richiamandogli alla mente il cupo
attraversamento dell'Ade su un'imbarcazione, la gondola, il cui aspetto
ricorda da vicino quello di una bara; e alla fine, proprio alla vigilia
della morte, nel pieno dell'epidemia del colera, il chitarrista capo dei
suonatori ambulanti, che coinvolgerà tutti gli ospiti dell'albergo in
una risata irrefrenabile e intensamente allusiva.

La morte, certo, ma anche l'amore, il necessario suo complemento. Mann
entra nello spirito della cultura greca del V° secolo a.C., la filosofia
di Platone: il platano alle soglie di Atene, la fresca ombra, la tenera
erba del prato, il gorgoglio delle acque dell'Ilisso che bagnano i piedi
di Socrate e Fedro, il profumo dell'agnocasto... Tadzio, il giovane
polacco che incontra nell'albergo, è la bellezza personificata; il
paragone spontaneo avviene con la statua dello Spinario. La bellezza di
Tadzio viene affrontata come sfida (il confronto fra chi la bellezza
produce e chi la bellezza possiede). Aschenbach ne è intellettualmente
conquistato. In lui, grande scrittore affermato per la purezza del
linguaggio e del pensiero, domina l'equilibrio e la ragione di Apollo.
Come dice Socrate nel Fedro, il dio abita nell'animo dell'amante, non
certo in quello dell'amato. In realtà gli dei che si installano nella
mente e nell'animo di Aschenbach sono due, entrambi in contrasto tra
loro: l'eleganza di Apollo si scontra con la lussuria di Dioniso, il
"dio straniero", quello che farà precipitare i sentimenti e poi la vita
stessa dello scrittore. L'attrazione per Tadzio diventa sempre più
coinvolgente fino a trasformarsi dapprima in amore, poi in vera e
propria passione. Questa rivivrà nel sogno del baccanale. Tutto si
concluderà con la morte di Aschenbach: certamente, apportata dal colera
che infuria a Venezia, ma in modo più sostanziale, come conclusione
della vicenda che scaturisce dalla guerra interiore: Tadzio diventerà
Hermes psicopompo e guiderà Aschenbah ai bui lidi dell'Ade.

L'opera ricalca in modo abbastanza fedele il romanzo. L'azione, come
tale, è scarsa. Potremmo dire che l'azione si svolge soprattutto
all'interno delle riflessioni di Aschenbache nelle occasioni che le
provocano, in rapporto alla sua crescente e sempre più coinvolta
attrazione per Tadzio. Anche nell'opera vi sono i personaggi che nel
romanzo rappresentano la morte: il viaggiatore, il finto giovane, il
gondoliere abusivo e il chitarrista, ma a questi se ne aggiungono altri
due: il direttore dell'albergo e il parrucchiere responsabile del finto
ringiovanimento. Britten affida questi sei personaggi alla voce
(baritonale) di un unico cantante; in più questo stesso cantante, nel
sogno, darà, giustamente, voce a Dioniso.
Dal punto di vista della trama vi sono due importanti differenze: alla
fine del primo atto, per far rivivere più intensamente lo spirito di
grecità che permea l'opera (e, ovviamente, il romanzo) e sottolineare la
natura apollinea, equilibrata e oggettiva, dell'attrazione di Aschenbach
per Tadzio, Britten, o meglio ancora Myfanwy Piper, l'autore del
libretto, introducono l'episodio dei giochi di Apollo, i classici giochi
di Olimpia, che vedono trionfare proprio Tadzio. E poi, l'altra
differenza riguarda quello che nel libro è il sogno del baccanale, e che
nell'opera diventa esplicitamente il conflitto fra Apollo, cantato da un
controtenore, e Dioniso, con la stessa voce dei sei personaggi, coloro
che preannunciano l'arrivo del "dio straniero".

La musica. Io l'ho trovata bellissima. L'orchestra, sia nel brani propri
che nell'accompagnamento delle voci, e il coro, presente in numerose
occasioni, mi hanno intensamente coinvolto. Intanto voglio citare alcuni
brani orchestrali che ho trovato particolarmente avvincenti, toccanti.
Fra questi, la musica di Venezia, della laguna, dei viaggi in gondola.
Struggente. La si ascolta nella Ouverture subito prima della III scena;
ma i suoi temi, i suoi timbri, le sue armonie ricompaiono, magari anche
solo come accenni, nelle diverse occasioni in cui Aschenbach, per
recarsi a Venezia, attraversa la laguna sulle gondole. Nell'orchestra si
apprezzano timbri sempre variabili, e sempre rinnovati: bellissimo l'uso
dello xilofono, con il suo timbro cristallino, in numerose occasioni,
soprattutto nell'accompagnamento dei ragazzi che giocano sulla spiaggia;
il fagotto che spesso accompagna il canto baritonale dei sei personaggi
che assediano Aschenbach; il pianoforte che accompagna molti dei
declamati nei quali Aschenbach esprime le sue riflessioni; il prevalere
dei fiati, soprattutto il timbro fascinoso del flauto e altri legni
acuti, che in molte occasioni si alternano alle percussioni con effetti
particolarmente stimolanti, accompagnano l'andirivieni dei ricchi
borghesi dell'Hotel, o i cittadini di Venezia che assediano con proposte
di vario genere il nostro scrittore; e soprattutto il coro, utilizzato
con grande ricchezza, con interventi solistici, cori maschili,
femminili, misti, etc. Un momento che mi è parso veramente esaltante è
il finale del primo atto, proprio nel corso dell'esecuzione dei giochi
sulla spiaggia, dove il coro fa da contrappunto agli interventi del
controtenore nella veste di Apollo. Musica trascinante, entusiasmante.
L'atto finisce con il grido di Aschenbach: la lotta che si è svolta nel
suo interiore è terminata con la sconfitta: «I love you». Moltissimi
altri sono gli interventi del coro: i ragazzi che partono per Venezia
salutando allegramente le loro ragazze e invocando mentre sono sulla
nave la Serenissima; il canto soave di giovani che su una barca
incrociano la gondola che sta portando Aschenbach al Lido; le
invocazioni a Tadziu da parte del coro femminile; le risate alla fine
delle esibizione dei cantori ambulanti; il coro dei cittadini che
assillano Aschenbach o che leggono i proclami di polizia, etc; tutti
momenti in cui coro e solisti arricchiscono le scene musicali di momenti
di particolare vitalità.

Nell'opera, come nel romanzo, Tadzio e la madre sono due personaggi
muti. Il canto di Aschenbach è prevalentemente un declamato, come anche
quello dei sei personaggi che lo attorniano. Ma in questi si deve
manifestare un clima timbrico diverso, che ne deve caratterizzare le
funzioni: un tono austero nel viaggiatore, un tono goffo e falsettato
nel finto giovane, un tono solennemente servile nel direttore
dell'hotel, un tono premurosamente servile nel barbiere, un tono
irridente e sguaiato nel chitarrista capo dei suonatori ambulanti, un
tono oracolare nella voce di bacco contrapposta a quella di Apollo.
Quest'ultimo è un controtenore che canta una specie di nenia che finisce
per avvoltolarsi su se stessa, lasciando il campo libero agli interventi
di Dioniso.

L'esecuzione. La regia della Deborah Warner è stata a dir poco stupenda.
La logica registica è quella di seguire il senso drammaturgico della
musica con immagini appropriate, sia per quanto riguarda le scene che
per quanto riguarda i movimenti corporei dei cantanti, del coro e dei
vari personaggi. I cambiamenti di scena sono numerosissimi: nell'opera
ne sono elencati 17: essi avvengono con grande economia e semplicità, ma
anche con grande efficacia. Basta un sipario sul fondo che si alza per
offrire uno scenario nuovo, oppure quinte che si spostano, o proiezioni
che offrono vedute della laguna o della città in lontananza. La scena
del cimitero è una scena scura che permette di intravvedere strutture
rettangolari che potrebbero essere tombe, mentre una grande rete,
investita da un raggio luminoso, ripiena di oggetti (libri? le creazioni
di Aschenbach?) pende sulla destra del palcoscenico. Ma al momento in
cui Aschenbach intraprende il viaggio, la scena si illumina, si alza un
sipario dal fondo, compare un enorme fumaiolo, delle sartie che fanno
immaginare la nave in partenza; le strutture rettangolari diventano
casse di merce viaggiante, e così gli oggetti contenuti nella rete; i
giovani in procinto di recarsi a Venezia cantano allegramente
indirizzati alle loro compagne che rispondono; marinai, scaricatori
vanno e vengono indaffarati; lo stesso Aschembach, che nella prima scena
si presentava con un aspetto meditabondo ed era vestito in modo austero,
ora compare indossando un abito più leggero e più chiaro che prelude a
un clima vacanziero. La regia prosegue in questo modo: cambiamenti di
illuminazione, piccoli spostamenti di oggetti, come sedie, poltrone,
tavoli etc. sollevamento di sipari posteriori, spostamento di quinte,
proiezioni sul fondo, costruiscono le diverse scene. La spiaggia si
disegna con silohuette di cabine, disposizione di poltrone a sdraio, il
mare in lontananza e un abbagliante sole al centro di un bel cielo
azzurro; la hall dell'albergo e la camera sono significate da ampie
tende leggere, sventolanti, che lasciano intravvedere un cielo sereno, e
qualche mobile qua e là; lo spazio ampio e deserto della laguna è
occupato da alcuni gondolieri che manovrano lunghe pale, e con sfondo
appaiono volta volta immagini di profili di isole spoglie o l'immagine
della skyline della città con i suoi campanili, le sue case le sue
cupole. Le scene si trasformano le una nelle altre con quei piccoli
artifizi che ho detto, dando l'immagine di una continuità quasi
cinematografica. I costumi dei personaggi che richiamano i primi anni
del XX secolo, sono essenziali per ricostruire l'ambiente: ricchi
borghesi che popolano la hall dell'albergo, ragazzi che giocano sulla
spiaggia, camerieri che vanno e vengono, liftboy che portano bagagli,
venditori ambulanti e comuni cittadini che popolano gli spazi della
città immaginata, mendicanti, saltimbanchi, impiegati come il giovane
inglese che rivelerà ad Aschenbach la presenza del colera in città, etc.
Sotto certi aspetti l'accuratezza descrittiva ricorda la precisione di
Visconti nella ricostruzione operata nel suo film. Tutto questo offre
alla spettatore una grande varietà e ricchezza visiva che si accompagna
perfettamente con la musica e con la drammaturgia dell'opera.

L'interpretazione: sia quella musicale che quella teatrale, le definirei
superbe. L'orchestra ha suonato al meglio. I timbri risaltavano con la
dovuta ricchezza, i ritmi variabili e spesso imprevedibili, davano il
necessario risalto alle azioni. L'orchestra nelle mani del direttore
Edward Garner ha dato veramente il meglio di sé.
Bellissima anche l'interpretazione dei personaggi. Fra tutti mi sembra
giusto citare l'Aschenbach di John Graham-Hall, che ha saputo dare al
personaggio una valenza efficace, convincente, coinvolgente. Misurato,
riflessivo nelle prime scene, si è gradualmente trasformato
nell'individuo in preda alla passione fino alla caratteristica di
degradato "finto giovane" che precede l' inevitabile morte. Gli applausi
per lui sono stati entusiastici. Altrettanto mi è piaciuto Iestyn Davies
nella parte di Apollo: voce che sembra provenire più dall'interno
dell'animo che non da un personaggio reale. Un filino al di sotto Peter
Coleman-Wright nelle sette parti: per carità, ha cantato e si è mosso
benissimo, ma forse immaginavo nei personaggi una maggior
variabilità-vivacità sia vocale che di comportamento. In essi io vedrei
raffigurate soprattutto le variabilità degli stati d'animo di Aschenbach
che sta precipitando nel decadimento che lo porterà alla morte. Comunque
giusti applausi sono stati attribuiti anche a lui.

In conclusione, per quanto mi riguarda, questa è stata una delle
migliori serate scaligere di questa stagione e anche in assoluto.

Saluti a tutti

Rudy

-------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14330 è una risposta a message #14318] sab, 19 marzo 2011 10:57 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Emma  è attualmente disconnesso Emma
Messaggi: 16
Registrato: dicembre 2010
Junior Member
Ho letto con immenso piacere la tua recensione e sono enormemente
dispiaciuta di non aver potuto prenotare, anche perchè amo molto sia Britten
che Mann (per non parlare del grande Gustav). Sai se per caso lo spettacolo
verrà ripreso in futuro magari in un altro teatro?

"Rudy" <rodolfo.canaletti@tin.it> ha scritto nel messaggio
news:1jycsng.1id72i6j4j5jsN%rodolfo.canaletti@tin.it...
> Amore e Morte, Eros e Tanatos: è un po' il filo conduttore del romanzo
> breve di Mann La morte a Venezia e dell'omonima opera di Britten. La
> morte fa la sua comparsa subito, fin dalla scelta del nome di
> Aschenbach: Gustav, come Gustav Mahler, il tormentato e nevrotico
> compositore morto appunto nel 1911, l'anno in cui si immaginano
> svolgersi i fatti narrati nel romanzo. E la morte, nel romanzo, assume
> le vesti di quattro personaggi ambigui, che stanno fra il reale e
> l'irreale: Il viaggiatore, incontrato proprio all'inizio durante la
> passeggiata in un cimitero, che penetrerà nei suoi pensieri angustiati
> dalla crisi creativa, e che lo convincerà a viaggiare, ad andare a
> Venezia, dove la morte trionferà sotto il segno del colera; poi, il
> finto giovane sul bastimento, che gli apre la via della decadenza fisica
> e degli illusori ostacoli che invano si tenta di opporle; ma egli
> stesso, nella grottesca scena finale del barbiere, cadrà nella stessa
> illusione e nel conseguente disgusto per se stesso; il gondoliere
> abusivo che lo accompagnerà al lido, richiamandogli alla mente il cupo
> attraversamento dell'Ade su un'imbarcazione, la gondola, il cui aspetto
> ricorda da vicino quello di una bara; e alla fine, proprio alla vigilia
> della morte, nel pieno dell'epidemia del colera, il chitarrista capo dei
> suonatori ambulanti, che coinvolgerà tutti gli ospiti dell'albergo in
> una risata irrefrenabile e intensamente allusiva.
>
> La morte, certo, ma anche l'amore, il necessario suo complemento. Mann
> entra nello spirito della cultura greca del V° secolo a.C., la filosofia
> di Platone: il platano alle soglie di Atene, la fresca ombra, la tenera
> erba del prato, il gorgoglio delle acque dell'Ilisso che bagnano i piedi
> di Socrate e Fedro, il profumo dell'agnocasto... Tadzio, il giovane
> polacco che incontra nell'albergo, è la bellezza personificata; il
> paragone spontaneo avviene con la statua dello Spinario. La bellezza di
> Tadzio viene affrontata come sfida (il confronto fra chi la bellezza
> produce e chi la bellezza possiede). Aschenbach ne è intellettualmente
> conquistato. In lui, grande scrittore affermato per la purezza del
> linguaggio e del pensiero, domina l'equilibrio e la ragione di Apollo.
> Come dice Socrate nel Fedro, il dio abita nell'animo dell'amante, non
> certo in quello dell'amato. In realtà gli dei che si installano nella
> mente e nell'animo di Aschenbach sono due, entrambi in contrasto tra
> loro: l'eleganza di Apollo si scontra con la lussuria di Dioniso, il
> "dio straniero", quello che farà precipitare i sentimenti e poi la vita
> stessa dello scrittore. L'attrazione per Tadzio diventa sempre più
> coinvolgente fino a trasformarsi dapprima in amore, poi in vera e
> propria passione. Questa rivivrà nel sogno del baccanale. Tutto si
> concluderà con la morte di Aschenbach: certamente, apportata dal colera
> che infuria a Venezia, ma in modo più sostanziale, come conclusione
> della vicenda che scaturisce dalla guerra interiore: Tadzio diventerà
> Hermes psicopompo e guiderà Aschenbah ai bui lidi dell'Ade.
>
> L'opera ricalca in modo abbastanza fedele il romanzo. L'azione, come
> tale, è scarsa. Potremmo dire che l'azione si svolge soprattutto
> all'interno delle riflessioni di Aschenbache nelle occasioni che le
> provocano, in rapporto alla sua crescente e sempre più coinvolta
> attrazione per Tadzio. Anche nell'opera vi sono i personaggi che nel
> romanzo rappresentano la morte: il viaggiatore, il finto giovane, il
> gondoliere abusivo e il chitarrista, ma a questi se ne aggiungono altri
> due: il direttore dell'albergo e il parrucchiere responsabile del finto
> ringiovanimento. Britten affida questi sei personaggi alla voce
> (baritonale) di un unico cantante; in più questo stesso cantante, nel
> sogno, darà, giustamente, voce a Dioniso.
> Dal punto di vista della trama vi sono due importanti differenze: alla
> fine del primo atto, per far rivivere più intensamente lo spirito di
> grecità che permea l'opera (e, ovviamente, il romanzo) e sottolineare la
> natura apollinea, equilibrata e oggettiva, dell'attrazione di Aschenbach
> per Tadzio, Britten, o meglio ancora Myfanwy Piper, l'autore del
> libretto, introducono l'episodio dei giochi di Apollo, i classici giochi
> di Olimpia, che vedono trionfare proprio Tadzio. E poi, l'altra
> differenza riguarda quello che nel libro è il sogno del baccanale, e che
> nell'opera diventa esplicitamente il conflitto fra Apollo, cantato da un
> controtenore, e Dioniso, con la stessa voce dei sei personaggi, coloro
> che preannunciano l'arrivo del "dio straniero".
>
> La musica. Io l'ho trovata bellissima. L'orchestra, sia nel brani propri
> che nell'accompagnamento delle voci, e il coro, presente in numerose
> occasioni, mi hanno intensamente coinvolto. Intanto voglio citare alcuni
> brani orchestrali che ho trovato particolarmente avvincenti, toccanti.
> Fra questi, la musica di Venezia, della laguna, dei viaggi in gondola.
> Struggente. La si ascolta nella Ouverture subito prima della III scena;
> ma i suoi temi, i suoi timbri, le sue armonie ricompaiono, magari anche
> solo come accenni, nelle diverse occasioni in cui Aschenbach, per
> recarsi a Venezia, attraversa la laguna sulle gondole. Nell'orchestra si
> apprezzano timbri sempre variabili, e sempre rinnovati: bellissimo l'uso
> dello xilofono, con il suo timbro cristallino, in numerose occasioni,
> soprattutto nell'accompagnamento dei ragazzi che giocano sulla spiaggia;
> il fagotto che spesso accompagna il canto baritonale dei sei personaggi
> che assediano Aschenbach; il pianoforte che accompagna molti dei
> declamati nei quali Aschenbach esprime le sue riflessioni; il prevalere
> dei fiati, soprattutto il timbro fascinoso del flauto e altri legni
> acuti, che in molte occasioni si alternano alle percussioni con effetti
> particolarmente stimolanti, accompagnano l'andirivieni dei ricchi
> borghesi dell'Hotel, o i cittadini di Venezia che assediano con proposte
> di vario genere il nostro scrittore; e soprattutto il coro, utilizzato
> con grande ricchezza, con interventi solistici, cori maschili,
> femminili, misti, etc. Un momento che mi è parso veramente esaltante è
> il finale del primo atto, proprio nel corso dell'esecuzione dei giochi
> sulla spiaggia, dove il coro fa da contrappunto agli interventi del
> controtenore nella veste di Apollo. Musica trascinante, entusiasmante.
> L'atto finisce con il grido di Aschenbach: la lotta che si è svolta nel
> suo interiore è terminata con la sconfitta: «I love you». Moltissimi
> altri sono gli interventi del coro: i ragazzi che partono per Venezia
> salutando allegramente le loro ragazze e invocando mentre sono sulla
> nave la Serenissima; il canto soave di giovani che su una barca
> incrociano la gondola che sta portando Aschenbach al Lido; le
> invocazioni a Tadziu da parte del coro femminile; le risate alla fine
> delle esibizione dei cantori ambulanti; il coro dei cittadini che
> assillano Aschenbach o che leggono i proclami di polizia, etc; tutti
> momenti in cui coro e solisti arricchiscono le scene musicali di momenti
> di particolare vitalità.
>
> Nell'opera, come nel romanzo, Tadzio e la madre sono due personaggi
> muti. Il canto di Aschenbach è prevalentemente un declamato, come anche
> quello dei sei personaggi che lo attorniano. Ma in questi si deve
> manifestare un clima timbrico diverso, che ne deve caratterizzare le
> funzioni: un tono austero nel viaggiatore, un tono goffo e falsettato
> nel finto giovane, un tono solennemente servile nel direttore
> dell'hotel, un tono premurosamente servile nel barbiere, un tono
> irridente e sguaiato nel chitarrista capo dei suonatori ambulanti, un
> tono oracolare nella voce di bacco contrapposta a quella di Apollo.
> Quest'ultimo è un controtenore che canta una specie di nenia che finisce
> per avvoltolarsi su se stessa, lasciando il campo libero agli interventi
> di Dioniso.
>
> L'esecuzione. La regia della Deborah Warner è stata a dir poco stupenda.
> La logica registica è quella di seguire il senso drammaturgico della
> musica con immagini appropriate, sia per quanto riguarda le scene che
> per quanto riguarda i movimenti corporei dei cantanti, del coro e dei
> vari personaggi. I cambiamenti di scena sono numerosissimi: nell'opera
> ne sono elencati 17: essi avvengono con grande economia e semplicità, ma
> anche con grande efficacia. Basta un sipario sul fondo che si alza per
> offrire uno scenario nuovo, oppure quinte che si spostano, o proiezioni
> che offrono vedute della laguna o della città in lontananza. La scena
> del cimitero è una scena scura che permette di intravvedere strutture
> rettangolari che potrebbero essere tombe, mentre una grande rete,
> investita da un raggio luminoso, ripiena di oggetti (libri? le creazioni
> di Aschenbach?) pende sulla destra del palcoscenico. Ma al momento in
> cui Aschenbach intraprende il viaggio, la scena si illumina, si alza un
> sipario dal fondo, compare un enorme fumaiolo, delle sartie che fanno
> immaginare la nave in partenza; le strutture rettangolari diventano
> casse di merce viaggiante, e così gli oggetti contenuti nella rete; i
> giovani in procinto di recarsi a Venezia cantano allegramente
> indirizzati alle loro compagne che rispondono; marinai, scaricatori
> vanno e vengono indaffarati; lo stesso Aschembach, che nella prima scena
> si presentava con un aspetto meditabondo ed era vestito in modo austero,
> ora compare indossando un abito più leggero e più chiaro che prelude a
> un clima vacanziero. La regia prosegue in questo modo: cambiamenti di
> illuminazione, piccoli spostamenti di oggetti, come sedie, poltrone,
> tavoli etc. sollevamento di sipari posteriori, spostamento di quinte,
> proiezioni sul fondo, costruiscono le diverse scene. La spiaggia si
> disegna con silohuette di cabine, disposizione di poltrone a sdraio, il
> mare in lontananza e un abbagliante sole al centro di un bel cielo
> azzurro; la hall dell'albergo e la camera sono significate da ampie
> tende leggere, sventolanti, che lasciano intravvedere un cielo sereno, e
> qualche mobile qua e là; lo spazio ampio e deserto della laguna è
> occupato da alcuni gondolieri che manovrano lunghe pale, e con sfondo
> appaiono volta volta immagini di profili di isole spoglie o l'immagine
> della skyline della città con i suoi campanili, le sue case le sue
> cupole. Le scene si trasformano le una nelle altre con quei piccoli
> artifizi che ho detto, dando l'immagine di una continuità quasi
> cinematografica. I costumi dei personaggi che richiamano i primi anni
> del XX secolo, sono essenziali per ricostruire l'ambiente: ricchi
> borghesi che popolano la hall dell'albergo, ragazzi che giocano sulla
> spiaggia, camerieri che vanno e vengono, liftboy che portano bagagli,
> venditori ambulanti e comuni cittadini che popolano gli spazi della
> città immaginata, mendicanti, saltimbanchi, impiegati come il giovane
> inglese che rivelerà ad Aschenbach la presenza del colera in città, etc.
> Sotto certi aspetti l'accuratezza descrittiva ricorda la precisione di
> Visconti nella ricostruzione operata nel suo film. Tutto questo offre
> alla spettatore una grande varietà e ricchezza visiva che si accompagna
> perfettamente con la musica e con la drammaturgia dell'opera.
>
> L'interpretazione: sia quella musicale che quella teatrale, le definirei
> superbe. L'orchestra ha suonato al meglio. I timbri risaltavano con la
> dovuta ricchezza, i ritmi variabili e spesso imprevedibili, davano il
> necessario risalto alle azioni. L'orchestra nelle mani del direttore
> Edward Garner ha dato veramente il meglio di sé.
> Bellissima anche l'interpretazione dei personaggi. Fra tutti mi sembra
> giusto citare l'Aschenbach di John Graham-Hall, che ha saputo dare al
> personaggio una valenza efficace, convincente, coinvolgente. Misurato,
> riflessivo nelle prime scene, si è gradualmente trasformato
> nell'individuo in preda alla passione fino alla caratteristica di
> degradato "finto giovane" che precede l' inevitabile morte. Gli applausi
> per lui sono stati entusiastici. Altrettanto mi è piaciuto Iestyn Davies
> nella parte di Apollo: voce che sembra provenire più dall'interno
> dell'animo che non da un personaggio reale. Un filino al di sotto Peter
> Coleman-Wright nelle sette parti: per carità, ha cantato e si è mosso
> benissimo, ma forse immaginavo nei personaggi una maggior
> variabilità-vivacità sia vocale che di comportamento. In essi io vedrei
> raffigurate soprattutto le variabilità degli stati d'animo di Aschenbach
> che sta precipitando nel decadimento che lo porterà alla morte. Comunque
> giusti applausi sono stati attribuiti anche a lui.
>
> In conclusione, per quanto mi riguarda, questa è stata una delle
> migliori serate scaligere di questa stagione e anche in assoluto.
>
> Saluti a tutti
>
> Rudy
>
> -------------------
> rodolfo.canaletti@tin.it
> http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14331 è una risposta a message #14330] sab, 19 marzo 2011 11:43 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
Messaggi: 3830
Registrato: novembre 2010
Senior Member
On 19 Mar, 10:57, "Emma" <emmaf...@alice.it> wrote:

> che Mann (per non parlare del grande Gustav). Sai se  per caso lo spettacolo
> verr ripreso in futuro magari in un altro teatro?
>


L'avessero ripreso quelli di Rai5......
Cmq domani c'è il Flautomagico
http://www.rai5.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-cf 79484f-0407-40ee-8944-da7935d64142

lz
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14341 è una risposta a message #14331] sab, 19 marzo 2011 16:55 Messaggio precedenteMessaggio successivo
daniel pennac \(porta  è attualmente disconnesso daniel pennac \(porta
Messaggi: 569
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"luziferszorn" <pan25712@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:719bf203-b8cc-4bff-b85d-01d4646a7b7e@k22g2000yqh.googlegroups.com...
On 19 Mar, 10:57, "Emma" <emmaf...@alice.it> wrote:

>L'avessero ripreso quelli di Rai5......
>Cmq domani c'è il Flautomagico
> http://www.rai5.rai.it/dl/Rai5/programma.html?ContentItem-cf 79484f-0407-40ee-8944-da7935d64142

>lz

Uhm, interessante ho acquistato il biglietto e non sapevo neppure che fosse
quello della prima!
Non è che sono completamente rimbambita, solo che il caos è tale quando si
cerca di comprare i biglietti per le opere di maggior richiamo sul sito
della Scala che può capitare una svista del genere!
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14342 è una risposta a message #14318] sab, 19 marzo 2011 16:56 Messaggio precedenteMessaggio successivo
daniel pennac \(porta  è attualmente disconnesso daniel pennac \(porta
Messaggi: 569
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"Rudy" <rodolfo.canaletti@tin.it> ha scritto nel messaggio
news:1jycsng.1id72i6j4j5jsN%rodolfo.canaletti@tin.it...
> In conclusione, per quanto mi riguarda, questa è stata una delle
> migliori serate scaligere di questa stagione e anche in assoluto.
>
> Saluti a tutti
>
> Rudy
>

Aspettavo la tua recensione, condivido in toto il tuo entusiasmo!
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14345 è una risposta a message #14318] sab, 19 marzo 2011 18:34 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:



> La musica. Io l'ho trovata bellissima. L'orchestra, sia nel brani propri
> che nell'accompagnamento delle voci, e il coro, presente in numerose
> occasioni, mi hanno intensamente coinvolto. Intanto voglio citare alcuni
> brani orchestrali che ho trovato particolarmente avvincenti, toccanti.
> Fra questi, la musica di Venezia, della laguna, dei viaggi in gondola.
> Struggente. La si ascolta nella Ouverture subito prima della III scena;
> ma i suoi temi, i suoi timbri, le sue armonie ricompaiono, magari anche
> solo come accenni, nelle diverse occasioni in cui Aschenbach, per
> recarsi a Venezia, attraversa la laguna sulle gondole. Nell'orchestra si
> apprezzano timbri sempre variabili, e sempre rinnovati: bellissimo l'uso
> dello xilofono, con il suo timbro cristallino, in numerose occasioni,
> soprattutto nell'accompagnamento dei ragazzi che giocano sulla spiaggia;
> il fagotto che spesso accompagna il canto baritonale dei sei personaggi
> che assediano Aschenbach; il pianoforte che accompagna molti dei
> declamati nei quali Aschenbach esprime le sue riflessioni; il prevalere
> dei fiati, soprattutto il timbro fascinoso del flauto e altri legni
> acuti, che in molte occasioni si alternano alle percussioni con effetti
> particolarmente stimolanti, accompagnano l'andirivieni dei ricchi
> borghesi dell'Hotel, o i cittadini di Venezia che assediano con proposte
> di vario genere il nostro scrittore; e soprattutto il coro, utilizzato
> con grande ricchezza, con interventi solistici, cori maschili,
> femminili, misti, etc. Un momento che mi è parso veramente esaltante è
> il finale del primo atto, proprio nel corso dell'esecuzione dei giochi
> sulla spiaggia, dove il coro fa da contrappunto agli interventi del
> controtenore nella veste di Apollo. Musica trascinante, entusiasmante.


Dico la mia, non entrando nel merito di Britten, ma in quello più generale
dell'arte.
Quando tu parli di timbri, di armonie, di colori, esprimi un'idea di
bellezza della musica
legata alla diretta corrispondenza di "affetti" con i suoni.
Quest'idea è, lo dico senza alcuna polemica, rifiutata da qualsiasi
musicista teatrale già a
partire da Monteverdi, perchè nel risultato priva i suoni di quella
superiore astrattezza che è
propria di un'arte comunque non figurativa e comunque non traducibile.
Debussy stesso, se vogliamo il "descrittivo" per antonomasia, precisava
che il compito di
quest'arte non è quello di descrivere, nè quello di esprimere.
E' invece quello di trovare "misteriose corrispondenze".
Parliamo di un compositore dell'inizio del '900, comunque circa 70 anni
prima di Britten, ma
già Monteverdi non era da meno.
L'Orfeo è una continua alternanza di espressioni dirette, anche molto
forti, di affetti e di
passi assolutamente astratti, altrettanto belli, in cui non vi è la
possibilità di comprendere
alcunchè se non in termini esclusivamente musicali.
Il Don Giovanni di Mozart si spinge ancora più in là, e la diretta
corrispondenza la lascia
solo a poche pagine (quelle col Commendatore, ad esempio)

Bada bene, dico queste cose da appassionato di teatro ancor più che di
musica.

Evidentemente abbiamo un'idea assai distante della grandezza di un'opera.


ciao
e.





--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14349 è una risposta a message #14345] sab, 19 marzo 2011 21:59 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> Evidentemente abbiamo un'idea assai distante della grandezza di un'opera.


Visto ciò che hai scritto sembra proprio così. Anzi, correzione:
"un'idea molto distante della natura di un'opera". La "grandezza" è un
attributo che si applica alla "natura".
Personalmente, come ho detto in moltissime occasioni, io considero
l'opera teatro che ha come linguaggio la musica.
Per essere più dettagliati: teatro è azione, linguaggio è espressione
dell'azione. In alttro modo non saprei proprio come definirlo. Forse
questo è un mio limite, come certamente è un mio limite non avere
capito, da quello che hai scritto, come la intendi tu.

Ciao

Rudy

----------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http.//www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14379 è una risposta a message #14349] dom, 20 marzo 2011 11:59 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:

>
> Personalmente, come ho detto in moltissime occasioni, io considero
> l'opera teatro che ha come linguaggio la musica.
> Per essere più dettagliati: teatro è azione, linguaggio è espressione
> dell'azione. In alttro modo non saprei proprio come definirlo.

questa è la tua idea. Rispettabilissima.
Ma quello che conta, purtroppo, non è la tua o la mia idea, ma
l'intenzione del compositore.
Intenzione che che, per quanto difficile (se non impossibile) da penetrare
è sicuramente
possibile, nella maggior parte dei casi, cogliere in linea generale.
E in linea generale direi che senza dubbio il prologo dell'Orfeo non ha
alcun intento
drammaturgico, ma è invece tutto astrattamente concentrato sulla Musica di
Musica.
E così tanti altri passi dello stesso compositore e aanche dei compositori
più spiccatamente
"teatrali".

ciao
e.

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14387 è una risposta a message #14379] dom, 20 marzo 2011 15:19 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> questa è la tua idea. Rispettabilissima.
> Ma quello che conta, purtroppo,

Conta? purtroppo? non capisco. Uno va a vedere uno spettacolo e cerca di
capire quello che ne ricava. Mi pare che la questione sia questa. Sulle
intenzioni del compositore (dicamo meglio: autore) si scrivono libri, ci
si accapiglia, si fanno ricerche, etc. C'è chi ne profondamente
interessato; chi è più interessato a quello che ne è risultato, e che
può essere, anzi spesso è, se parliamo di opere d'arte e non di opere
datate, in gran parte indipendente dalle intenzioni. Il tempo esiste,
anche se, come dice Kant, è solo una categoria a priori della mente.
Comunque le cose avvengono, si succedono, e influenzano il nostro modo
di pensare davanti ai fatti. Ognuno di noi è influenzato: come noi
stessi siamo diversamente influenzati ieri, oggi e domani.


> E in linea generale direi che senza dubbio il prologo dell'Orfeo non ha
> alcun intento
> drammaturgico, ma è invece tutto astrattamente concentrato sulla Musica di
> Musica.

Cosa c'entra l'Orfeo? che cos'è, l'unica opera che conta? Io facevo
considerazioni su una spettacolo ben preciso, Death in Venice, che ho
visto a teatro. Sull'Orfeo non ho aperto bocca. Ne ho scritto in altra
occasione, quando ho avuto modo di vederlo. Ma ora non ho affatto
intenzione di riprendere il discorso. Magari comincerò a pensare alla
Turandot, che andrò a vedere fra meno di un mese. E magari al Grande
Gatsby che ho appena finito di leggere.

Tu ami fare generalizzazioni, e partendo da queste discutere su
particolari che neppure hai avuto occasione di vedere. Io amo sforzarmi
di capire i particolari, partendo dal mio punto di vista, senza
pretendere di fare generalizzazioni, per le quali non ho la cultura.

Ciao

Rudy

------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14405 è una risposta a message #14387] dom, 20 marzo 2011 23:34 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:

> , etc. C'è chi ne profondamente
> interessato; chi è più interessato a quello che ne è risultato, e che
> può essere, anzi spesso è, se parliamo di opere d'arte e non di opere
> datate, in gran parte indipendente dalle intenzioni. Il tempo esiste,
> anche se, come dice Kant, è solo una categoria a priori della mente.

Anche se tu ti rifiuti di ascoltare quello che dicono gli altri, ho capito
il tuo ragionamento,
che è molto sottile ed intelligente.
E' verissimo che il risultato, anche perchè sottoposto al fattore tempo,
può essere
completamente indipendente dalle intenzioni del compositore.
Allo stesso tempo, credo che praticamente tutti qui ti abbiano detto che
la drammaturgia
non può essere, sensatamente, il fine unico di valutazione di un'opera.
Così come che per cogliere le intenzioni generali del compositore, spesso
non c'è bisogno
di fare proprio nessuno studio e nessun approfondimento: che "batti batti
bel Masetto" sia
pezzo del tutto privo di ogni finalità drammaturgica, è talmente evidente
che mi stupisce
che tu non lo colga.
E resterà evidente anche tra mille anni, stravolto dalla più avveniristica
regia della più
anticonformista rappresentazione.

Se devo dire la mia, io preferisco di gran lunga le opere in cui il teatro
e la drammaturgia
prevalgono sull'aspetto musicale in sè. O perlomeno rendano quest'ultimo
subordinato ad
essi.
Altrimenti, in generale, mi annoio tantissimo, a teatro.
Tuttavia, per molte altre opere, questo tipo di visione è assolutamente
inapplicabile.



> Cosa c'entra l'Orfeo?

Molto semplice: l'Orfeo è una delle opere in cui, proprio seguendo la tua
definizione
precedente, si attua la maggior aderenza possibile della musica al
significato del testo
cantato e dell'azione.
Eppure, anche nell'Orfeo ci sono passi esclusivamente musicali.
In cui la drammaturgia non ha alcun peso. Ma davvero nessuno.
E non sono mica pochi!


ciao
e.

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14411 è una risposta a message #14405] lun, 21 marzo 2011 08:40 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Giuseppe Sottotetti  è attualmente disconnesso Giuseppe Sottotetti
Messaggi: 118
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
Il 20/03/2011 23:34, egmont ha scritto:
> l'Orfeo è una delle opere in cui, proprio seguendo la tua
> definizione
> precedente, si attua la maggior aderenza possibile della musica al
> significato del testo
> cantato e dell'azione.
> Eppure, anche nell'Orfeo ci sono passi esclusivamente musicali.
> In cui la drammaturgia non ha alcun peso. Ma davvero nessuno.
> E non sono mica pochi!

Sarebbe bello se gli artisti aderissero senza fare eccezioni alle
regole. E' divertente nei Meistersinger il fatto che dopo tutto il gran
parlare delle leggi della Tabulatur Sachs dica nel terzo atto a Walther
che è lui, l'autore, a dover porre la regola e poi seguirla. E quando
però, nella seconda strofa l'autore comincia a fare un'eccezione (con
nella fattispecie una conduzione molto libera della melodia) il nostro
Sachs trova subito una giustificazione "in primavera è giusto così". E
quel Wagner che tuonava contro i pezzi chiusi ti infila il concertato
del battesimo nel terzo atto dei Meistersinger. L'azione si ferma e ci
immergiamo in qualche minuto di pura estasi musicale. Una meditazione,
una sosta, come le trecce sciolte sull'affannoso petto di Ermengarda, o
la tirata di Mercuzio sulla regina Maab.

--
Giuseppe Sottotetti
gsotto@alice.it
http://SottotettiGiuseppe.ilcannocchiale.it/
http://betasom.blogspot.com/
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14462 è una risposta a message #14405] lun, 21 marzo 2011 16:43 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> Anche se tu ti rifiuti di ascoltare quello che dicono gli altri,

Siamo sempre lì. Se uno non dà ragione all'altro "si rifiuta di
ascoltare". Va beh, se lo dici tu...

> Allo stesso tempo, credo che praticamente tutti qui ti abbiano detto che
> la drammaturgia
> non può essere, sensatamente, il fine unico di valutazione di un'opera.

Ah, cavoli! Sono un cattivaccio, al quale tutti, giustamente,
bacchettano sulle mani. Chiedo umilmente scusa a tutti, se la mia
valutazione dell'opera non è da loro accettata.


> spesso
> non c'è bisogno
> di fare proprio nessuno studio e nessun approfondimento: che "batti batti
> bel Masetto" sia
> pezzo del tutto privo di ogni finalità drammaturgica, è talmente evidente
> che mi stupisce
> che tu non lo colga.

Sono stupito io. "Batti batti bel Masetto" è un'aria che sta dentro una
drammaturgia. Come certe tirate di Eduardo De Filippo, o certe
espressioni di Arlecchino servitore di due padroni o mille altri esempi
di come all'interno di un lavoro teatrale ci possono essere variazioni
di svariatissimo genere, se all'autore la cosa pare opportuna, per dare
un certo sapore, spostare l'attenzione dello spettatore, etc.. Se poi
quando l'ha composta, Mozart non pensasse al Don Giovanni, ma alle corna
che quella sera avrebbe fatto alla moglie, beh, questo non lo so, e
tutto sommato non mi interessa.


>
> Molto semplice: l'Orfeo è una delle opere in cui, proprio seguendo la tua
> definizione
> precedente, si attua la maggior aderenza possibile della musica al
> significato del testo
> cantato e dell'azione.
> Eppure, anche nell'Orfeo ci sono passi esclusivamente musicali.
> In cui la drammaturgia non ha alcun peso. Ma davvero nessuno.
> E non sono mica pochi!

Io dell'Orfeo non stavo affatto parlando. Comunque, hai ragione.
Monteverdi l'ho sempre apprezzato, a differenza degli altri compositori
barocchi, proprio perché "attua la maggior aderenza possibile della
musica al significato del testo" (ma non userei querste espressione:
direi: perchè la sua musica è il linguaggio con cui la drammaturgia,
ossia l'azione, viene attivata sulla scena". Ovvero: non è il testo di
per sé, ma la musica che attiva la drammaturgia. Il testo è certamente
necessario, ma senza musica non avrebbe senso). Che poi l'ouverture,
come dici tu non centri nulla con la drammaturgia, è sempre e solo una
questione di interpretazione. Anche in Shakespeare ci sono scene che con
la struttura drammaturgica sembrerebbero c'entrare poco. Ma S. è sempre
il più grande drammaturgo della storia del teatro.

Ciao

Rudy
----------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14463 è una risposta a message #14411] lun, 21 marzo 2011 16:43 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
Giuseppe Sottotetti <gsotto@alice.it> wrote:

> Una meditazione,
> una sosta, come le trecce sciolte sull'affannoso petto di Ermengarda, o
> la tirata di Mercuzio sulla regina Maab.

Sono d'accordo. Solo che queste soste, spesso non sono delle deviazioni
dalla drammaturgia, ma hanno la funzione di scandire il tempo. Sono i
problemi dell'equilibrio e del ritmo che sono fondamentali a teatro
(come in ogni opera d'arte). Come dice Wagner per bocca di Sachs, in
primavere è giusto così.

Ciao

Rudy

------------------------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14474 è una risposta a message #14405] lun, 21 marzo 2011 17:32 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Shapiro used clothes  è attualmente disconnesso Shapiro used clothes
Messaggi: 2794
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
news:im5v9n$vdt$1@news.newsland.it...

> E' verissimo che il risultato, anche perchè sottoposto al fattore tempo,
> può essere
> completamente indipendente dalle intenzioni del compositore.

Il che è vero per qualsiasi forma d'arte, non solo per l'opera lirica.
Il tempo svela possibilità di senso che all'epoca dell'autore erano
insospettabili, o del tutto marginali; e ne sopprime del tutto altre (non
tutte le battute di Aristofane ci fanno ridere, perché evidentemente ci
sfugge qualcosa di esterno al testo, a cui il testo pure fa riferimento).
Non vedo però cosa c'entri con la componente "drammaturgica" dell'opera
lirica, e con la sua eventuale
dissociazione dalle forme di sviluppo del testo puramente musicali. La
capacità di illustrare il gesto è una possibilità della musica, come lo è
quella di esprimere e sottolineare l'evoluzione di una psicologia con un
processo di sviluppo o variazione propriamente musicale.


dR
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14479 è una risposta a message #14462] lun, 21 marzo 2011 19:02 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:


>

> Sono stupito io. "Batti batti bel Masetto" è un'aria che sta dentro una
> drammaturgia. Come certe tirate di Eduardo De Filippo, o certe
> espressioni di Arlecchino servitore di due padroni o mille altri esempi
> di come all'interno di un lavoro teatrale ci possono essere variazioni
> di svariatissimo genere, se all'autore la cosa pare opportuna, per dare
> un certo sapore, spostare l'attenzione dello spettatore, etc.. Se poi
> quando l'ha composta, Mozart non pensasse al Don Giovanni, ma alle corna
> che quella sera avrebbe fatto alla moglie, beh, questo non lo so, e
> tutto sommato non mi interessa.

quello che scrivi sarebbe condivisibile se "Batti batti" fosse un'episodio
isolato in un
contesto drammaturgicamente diverso.
Ad esempio, un discorso del genere varrebbe per la canzone del velo nel
Don Carlos;
strofe, quelle di Eboli, che hanno importanza espressamente ed
esclusivamente musicale,
e pur tuttavia inserite in un contesto drammaturgicamente molto vivo e
profondo.
Nel caso del Don Giovanni, si verifica l'esatto contrario: tutti i numeri,
eccettuati pochissimi,
hanno valenza puramente musicale.
Cosa che lo stesso Mozart ribadiva nelle sue lettere.
Certo, vi è racchiusa un' espressività molto forte: di "drammaturgia",
permettimi, neanche
l'ombra (non che l'opera non sia un capolavoro, beninteso).




> >
> > Molto semplice: l'Orfeo è una delle opere in cui, proprio seguendo la tua
> > definizione
> > precedente, si attua la maggior aderenza possibile della musica al
> > significato del testo
> > cantato e dell'azione.
> > Eppure, anche nell'Orfeo ci sono passi esclusivamente musicali.
> > In cui la drammaturgia non ha alcun peso. Ma davvero nessuno.
> > E non sono mica pochi!

> Io dell'Orfeo non stavo affatto parlando. Comunque, hai ragione.
> Monteverdi l'ho sempre apprezzato, a differenza degli altri compositori
> barocchi, proprio perché "attua la maggior aderenza possibile della
> musica al significato del testo" (ma non userei querste espressione:
> direi: perchè la sua musica è il linguaggio con cui la drammaturgia,
> ossia l'azione, viene attivata sulla scena". Ovvero: non è il testo di
> per sé, ma la musica che attiva la drammaturgia. Il testo è certamente
> necessario, ma senza musica non avrebbe senso). Che poi l'ouverture,
> come dici tu non centri nulla con la drammaturgia, è sempre e solo una
> questione di interpretazione. Anche in Shakespeare ci sono scene che con
> la struttura drammaturgica sembrerebbero c'entrare poco. Ma S. è sempre
> il più grande drammaturgo della storia del teatro.


per me questi problemi non si pongono.
Se il compositore vuol fare esclusivamente musica (Mozart), ne apprezzo il
messaggio
squisitamente musicale.
Se vuole fare dramma e teatro con la musica (Verdi) allora ne osservo ed
apprezzo
maggiormente il valore "drammaturgico".
Senza neanche fare alcuna ricerca o studio: è semplicemente quello che
colgo.
Personalmente amo, come già ribadito, di gran lunga più i compositori
"drammatici" o
marcatamente "teatrali".
Anzi, sono quelli che vado quasi esclusivamente a vedere.
Per me l'opera musicale è davvero trascinante solo quando la musica
diventa mezzo, non
fine. Per il resto provo noia.

ciao
e.


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14480 è una risposta a message #14474] lun, 21 marzo 2011 19:13 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Shapiro used clothes ha scritto:

> "egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
> news:im5v9n$vdt$1@news.newsland.it...

> > E' verissimo che il risultato, anche perchè sottoposto al fattore tempo,
> > può essere
> > completamente indipendente dalle intenzioni del compositore.

> Il che è vero per qualsiasi forma d'arte, non solo per l'opera lirica.
> Il tempo svela possibilità di senso che all'epoca dell'autore erano
> insospettabili, o del tutto marginali; e ne sopprime del tutto altre (non
> tutte le battute di Aristofane ci fanno ridere, perché evidentemente ci
> sfugge qualcosa di esterno al testo, a cui il testo pure fa riferimento).
> Non vedo però cosa c'entri con la componente "drammaturgica" dell'opera
> lirica, e con la sua eventuale
> dissociazione dalle forme di sviluppo del testo puramente musicali.

Il senso è che spesso le intenzioni del compositore sono troppo sbiadite,
ove addirittura
non deformate, dal fattore tempo.
Dunque, non bisogna fare troppo affidamento su di esse proprio quando si
valuta la
drammaturgia di un'opera lirica.
Mi viene in mente il Tannhauser di Wagner. E' una delle opere più "datate"
che io conosca.
Ai suoi tempi, il Tannhauser voleva essere il trionfo della drammaturgia.
E probabilmente ai
suoi tempi era davvero visto (peraltro non di buon occhio) così.
Ai nostri tempi mi pare che la vicenda, le situazioni, la
caratterizzazione dei personaggi,
l'azione dell'opera di Wagner non potrebbero essere più ridicoli,
stereotipati e di carattere
"vecchio".


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14483 è una risposta a message #14479] lun, 21 marzo 2011 21:36 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> Nel caso del Don Giovanni, si verifica l'esatto contrario: tutti i numeri,
> eccettuati pochissimi,
> hanno valenza puramente musicale.
> Cosa che lo stesso Mozart ribadiva nelle sue lettere.
> Certo, vi è racchiusa un' espressività molto forte: di "drammaturgia",
> permettimi, neanche
> l'ombra (non che l'opera non sia un capolavoro, beninteso).

Vedi? Quello che era nelle intenzioni di Mozart non lo conosco (non ho
letto le sue lettere, e i libri su Mozart che ho letto non mi hanno dato
nulla, a partire da quello di Buscaroli).
Il fatto è che ho sempre detto (credo di averlo ripetuto più volte anche
a te, in altre circostanze) che le tre opere che metto al top del mio
interesse sono: la Lady Macbeth, la Lulu e il Don Giovanni. E, ridi se
ne hai voglia, proprio per la loro drammaturgia, dove il bene e il male
si mescolano in modo che ogni cosa nella vita può essre vista sotto i
due aspetti senza cambiare di una virgola. Sì, il Don Giovanni, proprio
per la sua drammaturgia. E la musica mi è indispensabile, anche se qui
il testo ha una valenza di grandissimo spessore. (Da Ponte è una
drammaturgo fatto e finito!!!)



> Personalmente amo, come già ribadito, di gran lunga più i compositori
> "drammatici" o
> marcatamente "teatrali".
> Anzi, sono quelli che vado quasi esclusivamente a vedere.
> Per me l'opera musicale è davvero trascinante solo quando la musica
> diventa mezzo, non
> fine. Per il resto provo noia.


Certo, questo vale anche per me. Ma a differenza di te, per me tutte le
opere sono teatro, anche se magari il compositore non se ne rendeva
conto fino in fondo (ma certamente se ne doveve rendere conto, perché
aveva a che fare con una trama, e magari la cercava, e cercava proprio
quella, e un'altra non gli andava bene).
In questo io credo nel valore della regia, e capisco i registi moderni
così strapazzati dasi melomani. Cercano di entrare nelle pieghe di una
drammaturgia che a volte sembra coperta, ma che, scavando, si riesce,
bene o male, a far emergere. Pensa solamente alla Emma Dante nella regia
della Carmen; o al Don Giovanni con la regia di Peter Brook.

Ciao

Rudy

----------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14484 è una risposta a message #14483] lun, 21 marzo 2011 22:28 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
> Vedi? Quello che era nelle intenzioni di Mozart non lo conosco (non ho
> letto le sue lettere, e i libri su Mozart che ho letto non mi hanno dato
> nulla, a partire da quello di Buscaroli).
> Il fatto è che ho sempre detto (credo di averlo ripetuto più volte anche
> a te, in altre circostanze) che le tre opere che metto al top del mio
> interesse sono: la Lady Macbeth, la Lulu e il Don Giovanni. E, ridi se
> ne hai voglia, proprio per la loro drammaturgia, dove il bene e il male
> si mescolano in modo che ogni cosa nella vita può essre vista sotto i
> due aspetti senza cambiare di una virgola. Sì, il Don Giovanni, proprio
> per la sua drammaturgia. E la musica mi è indispensabile, anche se qui
> il testo ha una valenza di grandissimo spessore. (Da Ponte è una
> drammaturgo fatto e finito!!!)


Io invece, ti dico, ho letteralmente divorato le lettere di Mozart e non
ho mai letto in vita mia
un libro sulla sua figura. Leggere le lettere di Mozart aiuta a capire
tantissime cose e quello
dell'epistolario è un percorso che, secondo me, dovrebbe fare qualsiasi
qualsiasi persona
interessata ad accostarsi al compositore.
Secondo me, Da Ponte è un grande drammaturgo e allo stesso tempo
praticamente il 90%
della musica del Don Giovanni se ne infischia beatamente del significato
delle parole del
libretto.
Almeno io avverto così, immediatamente, dall'ascolto.
Quindi, ti chiedo: in che senso ci sarebbe drammaturgia nella musica di
Mozart?


> Certo, questo vale anche per me. Ma a differenza di te, per me tutte le
> opere sono teatro, anche se magari il compositore non se ne rendeva
> conto fino in fondo (ma certamente se ne doveve rendere conto, perché
> aveva a che fare con una trama, e magari la cercava, e cercava proprio
> quella, e un'altra non gli andava bene).


Non è che il compositore non se ne rendesse conto.
Semplicemente, in moltissimi casi, privilegiava la musica fine a sè stessa.
Come appunto accade in Mozart, grande conoscitore ed ammiratore di Gluck
(vedi appunto
l'epistolario).

ciao
e.


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14485 è una risposta a message #14484] lun, 21 marzo 2011 23:11 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
Messaggi: 3830
Registrato: novembre 2010
Senior Member
On 21 Mar, 22:28, egmont...@email.it (egmont) wrote:

> Secondo me, Da Ponte un grande drammaturgo e allo stesso tempo
> praticamente il 90%
> della musica del Don Giovanni se ne infischia beatamente del significato
> delle parole del
> libretto.
> Almeno io avverto cos , immediatamente, dall'ascolto.


Facci un esempio.

lz
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14487 è una risposta a message #14484] mar, 22 marzo 2011 01:49 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> interessata ad accostarsi al compositore.
> Secondo me, Da Ponte è un grande drammaturgo e allo stesso tempo
> praticamente il 90%
> della musica del Don Giovanni se ne infischia beatamente del significato
> delle parole del
> libretto.

Secondo me è assurdo solo al pensarlo. Anche se lo avesse scritto. Sei
davanti a un libretto, quello che pensi è quello che ti viene dalla
lettura del libretto. Altrimenti perché scrivere musica su un libretto
di cui non te ne frega nulla? Poi, non so, non ho approfondito la
questione, ma nelle lettere che M. scrive al padre parlando della musica
per l'Idomeneo, del libretto ne parla (che è sicuramente molto peggio
del D.G.) lo esamina, lo critica in alcune parti, etc. Quindi il
libretto c'entra, eccome!

> Almeno io avverto così, immediatamente, dall'ascolto.
> Quindi, ti chiedo: in che senso ci sarebbe drammaturgia nella musica di
> Mozart?

Ho detto che la musica è drammaturgica? Non mi pare. E' un'espressione
che non capisco e mi pare che non abbia senso. Ho detto che la
drammaturgia del D.G. (testo, e musica nel loro complesso, come cosa
unica, come deve essere) è ciò che mi affascina. Torno a ripetere: la
musica è il linguaggio col quale si esprime la drammaturgia del D.G. Ma
la drammaturgia è del D.G. come opera, lavoro teatrale, chiamalo come
vuoi, non della musica come tale.


> Come appunto accade in Mozart, grande conoscitore ed ammiratore di Gluck
> (vedi appunto
> l'epistolario).

Gluck, proprio il compositore che, uscendo dalle logiche del barocco,
finalmente fa teatro usando la musica come linguaggio. Mi sembra che
questo tagli la testa al toro. Comunque Mozart di musica per la musica
ne ha scritta tantissima!!! Le opere le ha scritte per fare teatro, non
per altro. E non si è rivolto a un librettista pirla. Dopo l'Idomeneo di
Varesco, che evidentemente, giustamente non lo avava soddisfatto si è
rivolto a Da Ponte. Chissà perché!

Cao

Rudy
-----------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14505 è una risposta a message #14480] mar, 22 marzo 2011 12:08 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Shapiro used clothes  è attualmente disconnesso Shapiro used clothes
Messaggi: 2794
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
news:im84c9$8c9$1@news.newsland.it...

> Ai nostri tempi mi pare che la vicenda, le situazioni, la
> caratterizzazione dei personaggi,
> l'azione dell'opera di Wagner non potrebbero essere più ridicoli,
> stereotipati e di carattere
> "vecchio".

Mi stavo giusto domandando che senso steste dando al termine "drammaturgia".
Per conto mio ne state parlando partendo da due accezioni differenti.
Solo un'osservazione, eh.

dR
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14526 è una risposta a message #14342] mar, 22 marzo 2011 15:46 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Toni Dona  è attualmente disconnesso Toni Dona
Messaggi: 3
Registrato: marzo 2011
Junior Member
On Sat, 19 Mar 2011 16:56:42 +0100, daniel pennac \(portatile\) wrote:

> "Rudy" <rodolfo.canaletti@tin.it> ha scritto nel messaggio
> news:1jycsng.1id72i6j4j5jsN%rodolfo.canaletti@tin.it...
>> In conclusione, per quanto mi riguarda, questa è stata una delle
>> migliori serate scaligere di questa stagione e anche in assoluto.
>>
>> Saluti a tutti
>>
>> Rudy
>>
>>
> Aspettavo la tua recensione, condivido in toto il tuo entusiasmo!

l'e' pur sempre brutten..
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14528 è una risposta a message #14487] mar, 22 marzo 2011 16:56 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:

> egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> > interessata ad accostarsi al compositore.
> > Secondo me, Da Ponte è un grande drammaturgo e allo stesso tempo
> > praticamente il 90%
> > della musica del Don Giovanni se ne infischia beatamente del significato
> > delle parole del
> > libretto.

> Secondo me è assurdo solo al pensarlo. Anche se lo avesse scritto. Sei
> davanti a un libretto, quello che pensi è quello che ti viene dalla
> lettura del libretto. Altrimenti perché scrivere musica su un libretto
> di cui non te ne frega nulla? Poi, non so, non ho approfondito la
> questione, ma nelle lettere che M. scrive al padre parlando della musica
> per l'Idomeneo, del libretto ne parla (che è sicuramente molto peggio
> del D.G.) lo esamina, lo critica in alcune parti, etc. Quindi il
> libretto c'entra, eccome!


Non è assurdo per nulla pensarlo, secondo me.
E probabilmente neanche secondo Debussy, che infatti sosteneva la stessa
cosa.
Ho in mente, ad esempio (anche per rispondere a luziferszorn) il duetto "O
statua gentilissima". L'unica aderenza che vi è tra musica e testo è nel
ritmo, nella metrica (il che è ovvio). Di tutte gli altri possibili
aspetti del libretto, Mozart se ne infischia beatamente, volutamente e in
modo quasi sfacciato.

Trovarli è una forzatura come poche.

Per quanto riguarda la questione dei libretti, anche il musicista più
indifferente alla drammaturgia può sviscerarli senza che in questo vi sia
alcuna contraddizione: i libretti, accanto agli elementi più strettamente
drammaturgici, presentano altrettanti aspetti che possono riguardare
unicamente la sfera musicale, come ad esempio il metro, la lunghezza e
divisione delle scene, la scelta e l'ordine dei numeri e mille altre cose.
Del resto, Mozart, quando parla dei libretti, da quel che ricordo, si
riferisce esclusivamente di questi aspetti.
A differenza ad esempio di Verdi.


> Ho detto che la musica è drammaturgica? Non mi pare. E' un'espressione
> che non capisco e mi pare che non abbia senso. Ho detto che la
> drammaturgia del D.G. (testo, e musica nel loro complesso, come cosa
> unica, come deve essere) è ciò che mi affascina. Torno a ripetere: la
> musica è il linguaggio col quale si esprime la drammaturgia del D.G. Ma
> la drammaturgia è del D.G. come opera, lavoro teatrale, chiamalo come
> vuoi, non della musica come tale.

L'espressione non avrà senso, ma io continuo a non capire in cosa Mozart
esprima o almeno suggerisca una corrispondenza o addirittura un semplice
legame tra testo/situazione/personaggi e musica.
A parte pochissimi passi.
Sarà forse un limite mio (mi chiedo se qui c'è qualcun altro che la pensa
così, a titolo di curiosità): certo però per Verdi, Mussorgsky, Gluck,
Wagner ed altri trovo questa corrispondenza in ogni nota.
Per Mozart, in nessuna.
E non per questo mi sognerei di dire che Mozart non sia uno dei
grandissimi del teatro musicale. Grande si, ma non certo per cose che gli
sono completamente estranee.



> Gluck, proprio il compositore che, uscendo dalle logiche del barocco,
> finalmente fa teatro usando la musica come linguaggio. Mi sembra che
> questo tagli la testa al toro. Comunque Mozart di musica per la musica
> ne ha scritta tantissima!!!


a partire dalle Nozze di Figaro, Don Giovanni, etc. ;-)
ciao
e.

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14529 è una risposta a message #14505] mar, 22 marzo 2011 17:15 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Shapiro used clothes ha scritto:

> "egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
> news:im84c9$8c9$1@news.newsland.it...

> > Ai nostri tempi mi pare che la vicenda, le situazioni, la
> > caratterizzazione dei personaggi,
> > l'azione dell'opera di Wagner non potrebbero essere più ridicoli,
> > stereotipati e di carattere
> > "vecchio".

> Mi stavo giusto domandando che senso steste dando al termine "drammaturgia".
> Per conto mio ne state parlando partendo da due accezioni differenti.
> Solo un'osservazione, eh.

Mah.

Drammaturgia, è termine che riferito alla musica per me esprime la somma
di tanti fattori, tutti molto semplici.
Come ad esempio viene caratterizzata la parola tramite la musica.
Come vengono caratterizzati i personaggi tramite la musica.
Come vengono caratterizzate le azioni tramite la musica.
Come vengono caratterizzate le situazioni tramite la musica.
Come viene reso il ritmo teatrale tramite la musica.

E via dicendo.

L'unico aspetto per cui Mozart potrebbe (per me non lo è) definirsi un
drammaturgo è proprio quello del ritmo. Potrebbe, dico, perchè in fin dei
conti il ritmo teatrale di Mozart è quello stesso della musica astratta.



--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14530 è una risposta a message #14528] mar, 22 marzo 2011 18:49 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


>
> L'espressione non avrà senso, ma io continuo a non capire in cosa Mozart
> esprima o almeno suggerisca una corrispondenza o addirittura un semplice
> legame tra testo/situazione/personaggi e musica.

Neanch'io capisco. Ma guarda, non mi pongo il problema di capire "quale
corrispondenza etc.". Per me né in Mozart né in alcun altro compositorie
di opere cerco o trovo la "corrispondenza" fra testo e musica. Per me
l'opera è un lavoro teatrale globale: sul palcoscenico. Non c'è una
scissione, per la quale è necessario cercare una "corrispondenza" fra
una musica e un testo. Lavorare su questa "divisione" alla ricerca di
corrisponedenze nei vari brani etc., sarà un problema per gli analisti,
non per me spettatore. Per me l'opera è lì, sul palcoscenico, intera.
Poi, il regista e il direttore d'orchestra creano l'ambiente, il
cantante lo interpreta come attore e io in platea lo recepisco come
spettatore. Il processo per me finisce qui: nel Don Giovanni come nel
Don Carlos, o Death in Venice.
Alla fine posso commentare quello che il lavoro teatrale, quella sera,
con quel direttore, quel regista, quegli attori mi ha suggerito.
Qualcuno può condividere, qualcun altro no.

Ciao

Rudy

--------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14538 è una risposta a message #14528] mar, 22 marzo 2011 19:48 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
Messaggi: 3830
Registrato: novembre 2010
Senior Member
On 22 Mar, 16:56, egmont...@email.it (egmont) wrote:

> Ho in mente, ad esempio (anche per rispondere a luziferszorn) il duetto "O
> statua gentilissima". L'unica aderenza che vi è tra musica e testo è nel
> ritmo, nella metrica (il che è ovvio). Di tutte gli altri possibili


La scena è un misto di ilarità e mezzo spauracchio resa perfettamente
dalla musica. Imho sei fuori di melone :-)

lz
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14553 è una risposta a message #14538] mar, 22 marzo 2011 22:11 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
luziferszorn ha scritto:

> On 22 Mar, 16:56, egmont...@email.it (egmont) wrote:

> > Ho in mente, ad esempio (anche per rispondere a luziferszorn) il duetto "O
> > statua gentilissima". L'unica aderenza che vi è tra musica e testo è nel
> > ritmo, nella metrica (il che è ovvio). Di tutte gli altri possibili


> La scena è un misto di ilarità e mezzo spauracchio resa perfettamente
> dalla musica. Imho sei fuori di melone :-)


la scena appartiene al clichè dei duetti preconfezionati tra due bassi di
cui uno buffo, quali
se ne trovano a centinaia nelle opere coeve e successive, tutti uguali per
carattere, stile,
dinamiche, agogiche, ritmi.
Quello che qui fa la differenza è ovviamente la musica (la cui maestria
rivela chiaramente la
grandezza di Mozart).
Laddove invece si parli di caratterizzazione del testo, della situazione,
della parola etc. è
davvero difficile trovare qualcosa di più generico e più anonimo.
Sinceramente imparagonabile, per quest'ultimo aspetto, ad un altro duetto
tra due bassi di
cui uno buffo.
Quello tra Robinson e Geronimo: lì c'è davvero la caratterizzazione del
testo e della scena,
in ogni nota. Ed è originalissima. Ma imho, sei troppo fuori di melone per
coglierlo.


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14557 è una risposta a message #14530] mar, 22 marzo 2011 22:55 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:

> egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> >
> > L'espressione non avrà senso, ma io continuo a non capire in cosa Mozart
> > esprima o almeno suggerisca una corrispondenza o addirittura un semplice
> > legame tra testo/situazione/personaggi e musica.

> Neanch'io capisco. Ma guarda, non mi pongo il problema di capire "quale
> corrispondenza etc.". Per me né in Mozart né in alcun altro compositorie
> di opere cerco o trovo la "corrispondenza" fra testo e musica.

ma allora, tutti quei particolari che hai elencato, come lo xilofono che
accompagna i
ragazzi, il fagotto che accompagna il baritono etc., cosa sono?
Io peraltro, ho precisato di non parlare strettamente di corrispondenza,
ma molto
blandamente di legame.
Nel Don Giovanni di Mozart non capisco che legame ci sia tra la musica e
il testo.
Almeno io non ne colgo alcuno, tranne pochi momenti.
Per il resto, mi pare che la musica se ne vada felicemente per il suo
conto, senza peraltro
cozzare con, anzi vivacizzando, la teatralità dell'opera: ma questo è più
un fatto "ritmico" ,
che drammaturgico.
Non capisco in cosa ad esempio Leporello sia caratterizzato, attraverso la
musica, se non
come generico basso buffo.
Non avverto, che so, un timbro orchestrale che lo identifichi.
Non avverto, per dire, una tessitura che lo evidenzi.
Tutte cose che non implicano alcuna divisione tra musica e testo, anzi,
non implicano
neppure una ricerca.
E non bisogna neppure essere degli analisti. Basta essere ascoltatori
attenti.
Perchè mica bisogna essere analisti per capire l'atmosfera e cogliere la
caratterizzazione di
"quel vecchio maledivami". O di "caro nome".

ciao
e.


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14558 è una risposta a message #14557] mar, 22 marzo 2011 23:39 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> ma allora, tutti quei particolari che hai elencato, come lo xilofono che
> accompagna i
> ragazzi, il fagotto che accompagna il baritono etc., cosa sono?

Francamente non capisco la domanda. Quindi non ti posso rispondere.
Potrei magari dire che il mio è un goffo tentativo di descrivere ciò che
ho sentito e che mi ha coinvolto nel guardare l'opera e cercare di
individuarne il linguaggio con la quale si esprime. Il resto
dell'analisi magari lo farai tu. Che ne so?


> Io peraltro, ho precisato di non parlare strettamente di corrispondenza,
> ma molto
> blandamente di legame.
> Nel Don Giovanni di Mozart non capisco che legame ci sia tra la musica e
> il testo.
> Almeno io non ne colgo alcuno, tranne pochi momenti.

Quando tu dici che io non ascolto! Continui a dire le stesse cose. Va
beh, ho capito, tu non trovi corrispondenza, legame o che altro fra
musica e testo del Don Giovanni. Perfetto.
E io che cosa posso fare se non ripetere anch'io le stesse cose? Per me
le cose stanno in modo molto differente, ma siccome le ho già dette non
so quante volte, mi asterrò per ripeterle ancora. Se non l'hai capito,
vorrà dire che il mio linguaggio non è abbastanza chiaro. Ma non so fare
meglio di così.


> E non bisogna neppure essere degli analisti. Basta essere ascoltatori
> attenti.

Evidentemente tu le sei più di me. Ma io sono fatto così. Che cosa posso
farci?

Ciao

Rudy

----------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14562 è una risposta a message #14557] mer, 23 marzo 2011 10:54 Messaggio precedenteMessaggio successivo
luziferszorn  è attualmente disconnesso luziferszorn
Messaggi: 3830
Registrato: novembre 2010
Senior Member
On 22 Mar, 22:55, egmont...@email.it (egmont) wrote:

> Non capisco in cosa ad esempio Leporello sia caratterizzato, attraverso la
> musica, se non
> come generico basso buffo.
> Non avverto, che so, un timbro orchestrale che lo identifichi.
> Non avverto, per dire, una tessitura che lo evidenzi.
> Tutte cose che non implicano alcuna divisione tra musica e testo, anzi,
> non implicano
> neppure una ricerca.
> E non bisogna neppure essere degli analisti. Basta essere ascoltatori
> attenti.


Ecco. vedo che ci sei arrivato da solo: ANALISI (e non sto facendo la
solita battuta). Se esordisci muovendo una critica, ossia che in una
determinata partitura, passo, aria, canzone (quel che ti pare) non c'è
aderenza tra musica e testo, è proprio necessario darne una
dimostrazione per mezzo dell'analisi. Quando io ti rispondo che la
scena citata dal DG mi pare invece espliciti la sua "aderenza" tra
musica e testo (e ti cito due stati d'animo ai quali la musica, per
così dire, "aderisce" o, se preferisci, si sforza di dipingere) tu
replichi parlando di "cliché" e "altro". Ora è evidente non solo che
il fatto che "esista di meglio" non è un dato d'analisi bensì
un'inutile constatazione, ma che anche l'appartenenza di una scena ad
un cliché non può essere accettato come dato d'analisi che illustri la
non aderenza suddetta. Anzi se parliamo di cliché significa proprio
che cè una forma di aderenza, stereotipata quanto vuoi, ma c'è. Poi tu
stesso dici che Mozart si eleva di molte tacche dai modelli
preesistenti. Quel che non prendi in considerazione forse è che quello
è Mozart e non Cimarosa, tantomeno Wagner.

Ora sia chiaro che a me non frega un tubo difendere Mozart o quealsasi
altro compositore tu voglia criticare, anzi mi piace assai che vengano
sottoposti ad analisi anche i più grandi compositori e interpreti.
Però fare dell'analisi comporta un percorso differente, cioè si rende
necessario smontare passo passo la partitura indicando dove e come la
musica salendo o scendendo, armonizzando così o cosa', saltellando di
la' invece che qua, non aderisca al testo, anzi se ne fotta bellamente
pensando ai pifferi suoi. Alla faccia di Papagheno e la Regina della
Notte....

Da ultimo aggiungo pure che quando citi Debussy imho non comprendi
affatto il significato dell'espressione "misteriose corrispondenze".
In sostanza Debussy ci dice che la musica è un linguaggio molto più
sottile perché lavora ad un livello superiore, "metalinguistico"
direbbero gli analisti..... Il che per dio non significa che non possa
descrive o esprimere! Lo fa semplicemente meglio della parola e
dell'immagine.

lz
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14564 è una risposta a message #14562] mer, 23 marzo 2011 12:18 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
luziferszorn ha scritto:


> Ecco. vedo che ci sei arrivato da solo: ANALISI (e non sto facendo la
> solita battuta). Se esordisci muovendo una critica, ossia che in una
> determinata partitura, passo, aria, canzone (quel che ti pare) non c'è
> aderenza tra musica e testo, è proprio necessario darne una
> dimostrazione per mezzo dell'analisi. Quando io ti rispondo che la
> scena citata dal DG mi pare invece espliciti la sua "aderenza" tra
> musica e testo (e ti cito due stati d'animo ai quali la musica, per
> così dire, "aderisce" o, se preferisci, si sforza di dipingere) tu
> replichi parlando di "cliché" e "altro". Ora è evidente non solo che
> il fatto che "esista di meglio" non è un dato d'analisi bensì
> un'inutile constatazione, ma che anche l'appartenenza di una scena ad
> un cliché non può essere accettato come dato d'analisi che illustri la
> non aderenza suddetta. Anzi se parliamo di cliché significa proprio
> che cè una forma di aderenza, stereotipata quanto vuoi, ma c'è. Poi tu
> stesso dici che Mozart si eleva di molte tacche dai modelli
> preesistenti. Quel che non prendi in considerazione forse è che quello
> è Mozart e non Cimarosa, tantomeno Wagner.

Se tu ti sforzassi di entrare un po' più in profondità nel discorso
noteresti che la questione in sè è molto più sottile della tua precipitosa
stroncatura.
E, non dico che accoglieresti le mie ragioni, ma almeno ci rifletteresti
un po'.
In sostanza, abbiamo un librettista di gran valore, che segue con
esperienza consumata alcuni tipici paradigmi dell'opera buffa.
Uno di questi, vero clichè del teatro settecentesco, è quello di far
ritrovare il buffo, con l'altro basso, in una situazione imbrogliata,
inverosimile ove non addirittura grottesca.
Così si verifica nel Don Giovanni, così in Cimarosa e in tanti altri
autori.
In una situazione del genere, è vero che la musica è in perfetto ossequio
al paradigma seguito dal librettista, ma domandati se questa aderenza è
data davvero da un'__elaborazione__ del compositore o se piuttosto è data
dall'adeguamento passivo ad un canone.
Aldilà di qualche piccolo espediente, per la verità molto di maniera, non
vedo alcun intento significativo, da parte di Mozart, nel dar forza al
testo, alla situazione.
Quello che invece si realizza, come puntualmente si realizza in Mozart, è
che la qualità strettamente musicale è Superiore.

Ma allora mi chiedo, dov'è 'sta drammaturgia in Mozart?

Torniamo ora un attimo a Cimarosa.
Nel duetto che citavo, che non è mio interesse stabilire se e quanto sia
inferiore o superiore a quello di Mozart, il principio di elaborazione a
cui faccio riferimento è presente invece in ogni nota.
Ogni nota è una trovata personale, e soprattutto non convenzionale, che va
dall'onomatopea alla postura, dalla pausa di sospetto al crescendo di
sfida passando per mille altri particolari.

E allora osserva a confronto i due duetti, e domandati se in quello del
Don Giovanni la drammaturgia non la faccia piuttosto Da Ponte, mentre in
quello del Matrimonio la drammaturgia non la faccia invece Cimarosa.



> Ora sia chiaro che a me non frega un tubo difendere Mozart o quealsasi
> altro compositore tu voglia criticare, anzi mi piace assai che vengano
> sottoposti ad analisi anche i più grandi compositori e interpreti.
> Però fare dell'analisi comporta un percorso differente, cioè si rende
> necessario smontare passo passo la partitura indicando dove e come la
> musica salendo o scendendo, armonizzando così o cosa', saltellando di
> la' invece che qua, non aderisca al testo, anzi se ne fotta bellamente
> pensando ai pifferi suoi. Alla faccia di Papagheno e la Regina della
> Notte....

ecco, vedo che alla fine hai trovato un controesempio appropriato.
Qui nulla davvero da controbattere.
Perchè, infatti, con Papageno e la Regina della Notte davvero c'è un
elaborazione del testo e del carattere da parte del compositore.
Sarà forse che Mozart era più "nazionalista" di quello che si crede (ma
per chi conosce l'epistolario non è certo una novità).



> Da ultimo aggiungo pure che quando citi Debussy imho non comprendi
> affatto il significato dell'espressione "misteriose corrispondenze".
> In sostanza Debussy ci dice che la musica è un linguaggio molto più
> sottile perché lavora ad un livello superiore, "metalinguistico"
> direbbero gli analisti..... Il che per dio non significa che non possa
> descrive o esprimere!


Debussy scrive esplicitamente, e in aperta polemica con alcuni Russi, che
la musica non deve descrivere ma deve fare qualcos'altro di ben diverso.
Sinceramente, perdonami, non capisco la tua controsservazione.

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14568 è una risposta a message #14529] mer, 23 marzo 2011 12:53 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Shapiro used clothes  è attualmente disconnesso Shapiro used clothes
Messaggi: 2794
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
news:imahrq$3qd$1@news.newsland.it...


> L'unico aspetto per cui Mozart potrebbe (per me non lo è) definirsi un
> drammaturgo è proprio quello del ritmo. Potrebbe, dico, perchè in fin dei
> conti il ritmo teatrale di Mozart è quello stesso della musica astratta.

Il ritmo teatrale? Direi di sì. E' il suo tratto saliente.
Anche sulla caratterizzazione dei personaggi, però, non mi sentirei di
arrivare a conclusioni rapide.
Forse manca quella componente mimetica, evidente, tesa a sottolineare il
dettaglio del testo.
Così anche per la drammaturgia della parola.
Ma che crei una dialettica con la parola stessa (esempio; Donna Anna che
chiede aiuto, stranamente, abbassando il tono) e riesca a sondare l'animo
del personaggio, beh, direi che lo fa, ci siamo.

Si potrebbe anche sostenere che di musica veramente astratta non ne ha
scritta.
Forse è una delle ragioni per cui la sua musica consente vari livelli di
lettura.

dR
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14572 è una risposta a message #14558] mer, 23 marzo 2011 14:12 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Rudy ha scritto:

> egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> > ma allora, tutti quei particolari che hai elencato, come lo xilofono che
> > accompagna i
> > ragazzi, il fagotto che accompagna il baritono etc., cosa sono?

> Francamente non capisco la domanda. Quindi non ti posso rispondere.
> Potrei magari dire che il mio è un goffo tentativo di descrivere ciò che
> ho sentito e che mi ha coinvolto nel guardare l'opera e cercare di
> individuarne il linguaggio con la quale si esprime.


La domanda era retorica. Quelle che tu hai elencato sono esattamente
corrispondenze, associazioni, legami diretti.
Cosa che il tuo orecchio ha evidentemente trovato, al contrario di quanto
affermavi in precedenza.


> > Io peraltro, ho precisato di non parlare strettamente di corrispondenza,
> > ma molto
> > blandamente di legame.
> > Nel Don Giovanni di Mozart non capisco che legame ci sia tra la musica e
> > il testo.
> > Almeno io non ne colgo alcuno, tranne pochi momenti.

> Quando tu dici che io non ascolto! Continui a dire le stesse cose. Va
> beh, ho capito, tu non trovi corrispondenza, legame o che altro fra
> musica e testo del Don Giovanni. Perfetto.
> E io che cosa posso fare se non ripetere anch'io le stesse cose? Per me
> le cose stanno in modo molto differente, ma siccome le ho già dette non
> so quante volte, mi asterrò per ripeterle ancora. Se non l'hai capito,
> vorrà dire che il mio linguaggio non è abbastanza chiaro. Ma non so fare
> meglio di così.

La domanda non era rivolta solo a te. Era rivolta in generale al newsgroup.
Siccome in vita mia, quando si parla di drammaturgia nel Don Giovanni, ho
sempre letto osservazioni pertinenti al libretto e mai alla musica, il mio
è un interrogativo aperto.



> > E non bisogna neppure essere degli analisti. Basta essere ascoltatori
> > attenti.

> Evidentemente tu le sei più di me. Ma io sono fatto così. Che cosa posso
> farci?


Perchè la poni in questi termini indocili e prevenuti?

Questo non giova ad una discussione che è comunque interessante.
Nessuno ha mai pensato che io sia un ascoltatore più attento di te.
L'osservazione era solo per dire che a differenza del Don Giovanni, nella
musica di Verdi con un po' di attenzione si colgono immediatamente forti
caratterizzazioni drammaturgiche.
Non era mica per dire che non le cogli tu.

Ah se è difficile comunicare!


ciao
e.




--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14573 è una risposta a message #14568] mer, 23 marzo 2011 14:19 Messaggio precedenteMessaggio successivo
egmontXYZ  è attualmente disconnesso egmontXYZ
Messaggi: 470
Registrato: novembre 2010
Senior Member
Shapiro used clothes ha scritto:

> "egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
> news:imahrq$3qd$1@news.newsland.it...


> > L'unico aspetto per cui Mozart potrebbe (per me non lo è) definirsi un
> > drammaturgo è proprio quello del ritmo. Potrebbe, dico, perchè in fin dei
> > conti il ritmo teatrale di Mozart è quello stesso della musica astratta.

> Il ritmo teatrale? Direi di sì. E' il suo tratto saliente.
> Anche sulla caratterizzazione dei personaggi, però, non mi sentirei di
> arrivare a conclusioni rapide.
> Forse manca quella componente mimetica, evidente, tesa a sottolineare il
> dettaglio del testo.
> Così anche per la drammaturgia della parola.


Bene, non vuoi arrivare a conclusioni rapide.
Ma a qualche conclusione bisognerà pure arrivarci.
La mia conclusione, giusta o sbagliata che sia, è che la musica del Don
Giovanni è, com'è tipico per Mozart, una musica assai astratta che ha la
particolarità di funzionare bene a teatro.
Non perchè cerchi una reale drammaturgia, ma semplicemente perchè il suo
valore
è talmente elevato che neanche ne ha bisogno.


> Ma che crei una dialettica con la parola stessa (esempio; Donna Anna che
> chiede aiuto, stranamente, abbassando il tono) e riesca a sondare l'animo
> del personaggio, beh, direi che lo fa, ci siamo.


Ah beh, di particolari come questo ce ne sono un'infinità, nel Don
Giovanni.
Tutte cose che drammaturgicamente, paragonate ad altri autori più
marcatamente "di teatro", sono secondo me irrilevanti.


> Si potrebbe anche sostenere che di musica veramente astratta non ne ha
> scritta.

questo mi pare davvero insostenibile.

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad abuse@newsland.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14576 è una risposta a message #14572] mer, 23 marzo 2011 14:55 Messaggio precedenteMessaggio successivo
rodolfo.canaletti  è attualmente disconnesso rodolfo.canaletti
Messaggi: 100
Registrato: dicembre 2010
Senior Member
egmont <egmontXYZ@email.it> wrote:


> La domanda era retorica. Quelle che tu hai elencato sono esattamente
> corrispondenze, associazioni, legami diretti.
> Cosa che il tuo orecchio ha evidentemente trovato, al contrario di quanto
> affermavi in precedenza.

Ti ringrazio di avermi spiegato quello che ho sentito. Forse è più
facile spiegare a uno che ha sentito ciò che ha sentito da parte di uno
che NON ha sentito, che cercare di spiegare da parte di uno che ha
sentito ciò ha sentito a uno che NON ha sentito.

Sono i miracoli della congruenza, alla quale francamente io non ero in
grado di arrivare.


>
> Perchè la poni in questi termini indocili e prevenuti?
>
> Questo non giova ad una discussione che è comunque interessante.
> Nessuno ha mai pensato che io sia un ascoltatore più attento di te.

Qualcuno sì: tu. Ma non te lo nego. Ripeto, le mie capacità di ascolto
sono le mie, e a quelle devo fare riferimento. Quello che tu ritieni di
spiegare nel Don Giovanni è sicuramente ben analizzato, ascoltato e
capito. L'unica cosa che ci divide è che io nel Don Giovanni, come in
tutte le altre opere (lo ripeto ancora una volta, poi basta) non sono
affatto interessato al rapporto (o al non rapporto, come sostieni tu)
della musica con il testo del libretto, e ancora meno alle intenzioni di
Mozart in questo senso, che non conosco. Io vado a vedere il Don
Giovanni: un lavoro teatrale nel quale la musica è il linguaggio e
ascolto quello che mi dice, in rapporto alla mia cultura non di esperto
(non sono affatto esperto di nulla) ma come uomo, con tutto quello che
c'è dentro questa parola.


> Ah se è difficile comunicare!

Mi sembra di no. Quello che tu dici sul DG l'ho imparato a memoria, ma
non fa parte del mio modo di pensare l'opera. Quindi non è che non lo
condivida. E' che non fa parte dei miei interessi. Allora?

Ciao

Rudy

---------------------
rodolfo.canaletti@tin.it
http://www.dicoseunpo.it
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14584 è una risposta a message #14573] mer, 23 marzo 2011 15:13 Messaggio precedenteMessaggio successivo
Shapiro used clothes  è attualmente disconnesso Shapiro used clothes
Messaggi: 2794
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
news:imcrts$g8p$1@news.newsland.it...


> questo mi pare davvero insostenibile.

Era un'ipotesi fatta per amore del paradosso.
Io sono più propenso, fatte le opportune distinzioni (non sono mica un
professionista) a pensarla come te.
Ma si potrebbe anche sostenere che l'elemento portante della sua produzione
è il teatro, e dal teatro si irraggia un'impostazione stilistica, di dialogo
fra stili diversi (un po' quello che succede nel romanzo coevo, e non solo)
che interessa anche altri generi non teatrali (i concerti per pianoforte e
orchestra, per primi).

dR
Re: DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni [messaggio #14593 è una risposta a message #14573] mer, 23 marzo 2011 17:16 Messaggio precedente
Zaz!  è attualmente disconnesso Zaz!
Messaggi: 1549
Registrato: novembre 2010
Senior Member
"egmont" <egmontXYZ@email.it> ha scritto nel messaggio
news:imcrts$g8p$1@news.newsland.it...

> Non perchè cerchi una reale drammaturgia, ma semplicemente perchè il suo
> valore
> è talmente elevato che neanche ne ha bisogno.

questo è un altro discorso.
Mozart ricade in ambedue le categorie.
Sia quella di chi ha una capacità drammaturgica impareggiabile, sia quella
di chi comunque scrive una musica perfetta che sta in piedi da sola.
Riesco solo a pensare a Monteverdi, ma nessun altro imho arriva a tanto.
Argomento precedente:Teatro La Fenice, spettacoli regolari?
Argomento successivo:prova prova prova - dove siete? avete mica beccato il buco nero vicino ad alpha orionis?
Vai al forum:
  


Ora corrente: lun mag 27 12:33:54 CEST 2024

Tempo totale richiesto per generare la pagina: 0.01618 secondi
.:: Contatti :: Home ::.

Powered by: FUDforum 3.0.2.
Copyright ©2001-2010 FUDforum Bulletin Board Software

Live Support