Cesare deve morire [messaggio #183776] |
mer, 28 marzo 2012 10:12 |
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Shakespeare a Rebibbia, o forse, meglio ancora, Shakespeare "e"
Rebibbia. Sì, perchè se il sommo poeta non perde mai il suo primato e
la sua forza, in qualsiasi modo mi sia capitato di veder rappresentate
le sue tragedie, qui è accompagnato da un vero e proprio co-
protagonista, il carcere. Il carcere sia come luogo fisico, fatto di
celle, corridoi, cortili, finestre sbarrate. E il carcere come
dimensione umana estrema, composto dai detenuti, vite segnate,
condanne pesanti per reati altrettanto gravi.
Non ci sono riscatti, nè redenzioni, non si mostrano pentimenti che
possano indurre a pietà o compassione. Semmai, insieme a qualche
momentaneo tormento, emerge una grande dignità, restituita loro grazie
alle immortali parole del poeta che, anche in dialetto, mantengono
inalterata la loro forza.
Potente, forte, solido come una roccia, come gli interpreti (tutti
bravissimi, con Bruto, l'unico ex-detenuto, protagonista assoluto),
come il bianconero con cui è quasi interamente girato.
Un plauso ai Taviani: bellissima l'idea di questo film, encomiabile la
sua realizzazione.
"Da quando ho scoperto l'arte, questa cella è diventata un prigione"
Cassio, reato commesso omicidio, fine pena mai.
Michele
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