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Re: La solitudine dei numeri primi [messaggio #32875 è una risposta a message #32852] |
dom, 17 luglio 2011 18:58 |
Radagast Messaggi: 27 Registrato: marzo 2011 |
Junior Member |
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Boh ha pensato forte :
> Radagast <radagast@radagast.xx> wrote:
>> Il 15/07/2011, Quantum ha detto :
>>
>>> ottimo film
>>
>> Ignobile.
>
> come i giudizi lapidari privi di argomentazioni.
C'è poco da argomentare: da un libro mediocre hanno tratto un pessimo
film. La recitazione è penosa, la regia addormentata, i dialoghi
ridicoli, la storia destrutturata "alla cazzo", come direbbe René
Ferretti (la scena dell'incidente di lei, che nel libro è nel primo
capitolo, ci viene inutilmente mostrata solo dopo tre quarti del film,
dopo averla praticamente svelata e ripetuta più volte nei sessanta e
passa minuti precedenti).
«C’era tanta attesa per La solitudine dei numeri primi qui al Lido,
vista l’importanza del libro (che, mea culpa, ammetto di non aver mai
letto), la bravura del suo regista e soprattutto perché si tratta del
quarto ed ultimo film italiano del concorso. Il risultato però ha visto
qualche applauso tra fischi e boati alla fine della proiezione stampa
in Sala Darsena.
La scelta di Costanzo è quella di trattare la storia a disposizione
come un thriller a tinte orrorifiche, un film fortemente psicologico in
cui non dominino i dialoghi, che il regista ammette di usare poco anche
perché convinto di non essere troppo bravo a scriverli, ma bensì
l’aspetto visivo e sonoro. Ambientato in gran parte negli anni ‘80, il
film acquista i colori, le musiche e i suoni dei sintetizzatori del
periodo.
E’ filologicamente corretto quindi, questo La solitudine dei numeri
primi. Che però mette a nudo quello che qualcuno va dicendo da tempo:
Costanzo forse punta troppo in alto, e in questo caso cade
rovinosamente. Il suo quarto lungometraggio procede per accumulo,
lynchanamente, tra ossessioni, ferite, fantasmi, addirittura doppi, in
una costruzione non-cronologica che salta continuamente da una parte
all’altra.
Ma c’è ancora bisogno di dover usare tanta nebbia e tanta pioggia
torrenziale per trasmettere l’angoscia interiore dei personaggi? Alice
e Mattia infatti vivono attraverso le ambientazioni e i colori, e
attraverso le musiche. Ad esempio il tema principale de L’uccello dalle
piume di cristallo e alcune note da Profondo Rosso, giusto per ribadire
il concetto che il regista si è rifatto anche al cinema di Dario
Argento.
Per non parlare dei pezzi musicali, usati spesso e senza sosta,
soprattutto quelli pop. Nella lunga sequenza in discoteca che
incomincia con Alice e l’amica bisessuale Viola che scendono a ballare
in pista, fino al tentativo di Mattia di togliere letteralmente il
tatuaggio dal corpo della protagonista, il martellamento non smette un
attimo.
Anche la bellissima Bette Davis Eyes di Kim Carnes sembra usata come
riempitivo di un’emozione che non arriva: e non è l’unico caso di
musica diegetica, giustificata dal fatto che sono i personaggi ad
ascoltarla. Costanzo difende la scelta con la scusa di voler
sottolineare lo scarto tra tutto il film e gli ultimi minuti, dove a
dominare è il silenzio…
Sagra della psicologia spicciola e catalogo di presunzioni d’autore,
con risultati da cortometraggio sperimentale e videoclip, La solitudine
dei numeri primi spreca anche un’Alba Rohrwacher dimagrita per
l’occasione quasi fino a scomparire (peccato appaia così solo
nell’ultimissima parte) e un bravo Luca Marinelli al suo esordio come
attore cinematografico. Cosa ricorderemo quindi del film? Un Filippo
Timi vestito da clown, inquietante e terribile: lui sì capace di
ricordarci in pochi secondi cos’è il brivido».
http://www.cineblog.it/post/24351/venezia-2010-la-solitudine -dei-numeri-primi-la-recensione-del-film-di-saverio-costanzo
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